...ho scoperto la storia di una donna straordinaria, che parla di Cina, di arte e dell’incontro con il grande amore della sua vita, 23 anni dopo averlo lasciato su una Muraglia dall’altra parte del mondo . Marina Abramović e Ulay si conobbero ad Amsterdam nel 1976 e fu più che amore a prima vista. Serba lei, tedesco lui, entrambi nati il 30 novembre, si dedicavano alla nascente arte della performance.
La loro unione fu totalizzante. Formarono un duo che chiamarono The Other e per dodici anni esplorarono i limiti del corpo, delle relazioni umane, del simbolico, dell’arte stessa. Per cinque anni, non potendo vivere delle proprie performance, viaggiarono e vissero in un furgone, mettendo in scena nel frattempo progetti estremi come Death Self, in cui i due unirono le labbra e respirarono l’aria espulsa dall’altro fino a terminare l’ossigeno a disposizione.
Caddero a terra privi di sensi 17 minuti dopo l’inizio della performance. L’idea era quella di esplorare la capacità dell’individuo di assorbire, cambiare e distruggere la vita altrui.
Non è difficile credere che una relazione tanto intensa avrebbe bruciato, prima o poi, tutta l’aria a disposizione. Nel 1988, quando sentivano che la loro relazione stava arrivando alla fine, decisero di compiere un ennesimo, ultimo, atto simbolico, prima di separarsi: sarebbero partiti insieme per la Cina per percorrere la Muraglia Cinese in solitario, dai due estremi opposti, lui dal deserto del Gobi e lei dal Mar Giallo, una camminata di 2.500 chilometri, per poi incontrarsi nel centro del percorso, abbracciarsi e dirsi addio. Il titolo della loro ultima performance era The Lovers.
Così fu: Marina e Ulay si separarono sulla Muraglia Cinese come d’accordo e per 23 anni le loro vite seguirono cammini separati. Fino al giorno in cui fu di nuovo l’arte a metterli uno di fronte all’altra, durante la performance The Artist is Present, in cui la Abramović trascorse 716 ore e mezzo seduta al MoMa davanti a una sedia vuota, dove i visitatori potevano sedersi e sostenere il suo sguardo per qualche minuto. Uno di questi fu Ulay. Il resto lo dicono le immagini.
Sì, Marina Abramovìc e Ulay possono essere ricordati negli annali della storia dell'arte contemporanea per avere lanciato delle ardite e provocatorie esibizioni di performing art. Fece scandalo l'esibizione Imponderabilia, messa in scena a Bologna per la prima volta nel 1977, in cui essi stavano in piedi, totalmente nudi ai lati di uno stretto passaggio: i visitatori dell'esibizione di performing art dovevano passare tra i due. Il passaggio era così stretto che ciascuno, uomo o donna, che fosse doveva girarsi di lato e scegliere - per quanto inconsciamente - di fronteggiare o l'uomo e la donna. Nel contesto di Imponderabilia i visitatori venivano fotografati al loro passaggio assieme ai due art performer.
Furono compagni nella vita e nella performing art per dodici anni di seguito fino a quando decisero di concludere la loro storia con un performing art contest di portata mondiale, nel 1989
Intrapresero, infatti, il cammino lungo la Muraglia Cinese: uno dei due partì da Nord e l'altro dall'estremità sud. Ciascuno dei due camminò per 2500 km - così riportano le cronache di quell'evento - fino a quando si incontrarono a metà circa dell'intera lunghezza della Grande Muraglia.
Quando si incontrarono si dissero addio per non più rivedersi. E in questo modo così plateale finì la loro avventura e la loro vita condivise.
Incredibilmente si rincontrarono a distanza di 30 anni durante una performance al MoMA di Marina nel 2010, in cui il suo goal fu quello di stare seduta ad un tavolo, davanti ad una platea di spettatori per un numero infinito di ore (arrivò ad un cumulo di 716 ore) e, in questo contest, a turno gli spettatori potevano a turno andare a sedersi davanti a lei, stringerle le mani, guardarla negli occhi.
E Ulay con il quale non si vedevano da 30 anni, si presentò.
La scena di questo memorabile incontro venne ripresa in un video che rimane sorprendente ed emozionante.
In fondo, la loro prestazione sulla Muraglia e le 716 ore di Marina seduta al tavolo ispirano la riflessione che, in fondo gli Ultramaratoneti, soprattutto quelli votati alle linghissime distanze e ad imprese solitarie da scirvere come pagine momrabili nella storia delle Ultramaratone, sono degli Art performer: il gesto atletico del runner solitario delle lunghissime distanze può diventare opera d'arte.
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