«È il momento di avere pazienza e di non fare errori. È il momento di cercare la nostra corsa perfetta, quella che abbiamo costruito giorno per giorno, espressione del nostro personale equilibrio tra sforzo e durata, tra velocità e resistenza. Se ci siamo allenati con la testa, oltre che con le gambe, ormai la conosciamo bene, è diventata una vecchia amica. Siamo nelle condizioni migliori per metterla in pratica: non dobbiamo spingere troppo – anzi, dobbiamo controllare la velocità – e possiamo concentrarci sull’efficienza. Eccola, la nostra corsa perfetta!»
Gastone Breccia, storico e giornalista (con all'attivo numerosi saggi, anche su temi di attualità), sin da giovane è stato un runner appassionato (la sua prima maratona corsa appena ventenne). Ha cominciato a correre prestissimo e non ha più smesso: all'inizio ha mostrato di possedere grandissime doti e , quasi sin da subito, si è collocato nella fascia degli amatori "top runner", accumulando nella prima parte della sua carriera sportiva numerosi titoli eccellenti .
Poi, nel corso del tempo le sue prestazioni, con il progredire, hanno perso un po' del loro smalto, mantenendosi tuttavia sempre nella fascia dell'eccellenza (in funzione dell'età raggiunta).
Ciò nonostante, Gastone Breccia si definisce con molta modestia, un "tapascione", sia pure di alto livello, annoverando tra le sue migliori prestazioni un crono di 2h26'44 in maratona (ottenuta nel 1996) e un 1h08'58 nella Mezza, crono conquistato nella Roma-Ostia nel 1997, senza contare i numerosi titoli prestigiosi che ha conquistato nell'arco di tutta la sua carriera podistica.
In La Fatica più bella. Perchè correre cambia la vita (Laterza Editore, Collana I Robinson. Letture, 2018), egli ha trasfuso la sua passione sconfinata per la corsa, che ha fatto da sempre da contraltare e da contrappeso ai suoi interessi professionali e culturali poliedrici.
Breccia ha un atteggiamento rigoroso nei confronti della Maratona: secondo lui la fatidica distanza dei 42,195 km (che è per lui la distanza "perfetta", nel rapporto che si determina tra efficienza e resistenza) deve sempre essere affrontata "al limite" delle proprie possibilità e, di conseguenza, va sempre preparata accuratamente. Ogni maratoneta già addestrato e ogni aspirante maratoneta deve sempre poter conoscere in anticipo i propri limiti e, di conseguenza, progettare la "sua" maratona, in modo tale da poter ogni volta avvicinarsi in maniera ragionevole al proprio obiettivo, considerando che non sempre la maratona che si è appena corsa risulterà essere "perfetta". Bisogna ogni volta far conto di imprevedibili circostanze e, naturalmente, dei propri errori (dei quali, avendo l'umiltà di affrontare un'impietosa autoanalisi nelle ore e nei giorni successivi, bisogna far tesoro per potersi migliorare).
Ma per Breccia ciò che davvero imperdonabile è la "sciatteria" che rappresenta una vera e propria offesa ad un sano agonismo e ad una corretta filosofia della maratona.
Egli, da asceta della disciplina, è per principio contrario alla maratona corsa "tanto per" e, di conseguenza, disapprova anche coloro che "vanno per maratone", solo per collezionare un numero impressionante di gare di lunga durata (includendo anche le ultra) partecipate e concluse, ma senza mai essersi confrontati con il proprio personale limite: senza di ciò non vi è mai la "sfida di maratona".
In questo senso, Gastone Breccia è decisamente contrario al Tapascione, a colui che strascica i propri piedi e che senza verve alcuna si trascina sino al traguardo: in sostanza, sotto questo profilo, egli boccia con fervore almeno il 50% di coloro che costituiscono la fitta schiera del "popolo delle maratone" (e molti ancora di più fra quelli che partecipano alle ultramaratone, dove il gesto della corsa per i più tende ineluttabilmente a trasformarsi in semi-corsa o in camminata).
Ciò nonostante, come abbiamo già rilevato egli stesso si definisce umilmente un "tapascione" - benché di alto livello.
Questa la premessa per comprendere il suo approccio alla corsa di lunga durante: e naturalmente bisogna tener presente che il suo enunciato scaturisce dal fatto che egli sia sempre stato un maratoneta brillante e anche adesso per la inevitabile perdita di smalto legata al progredire dell'età, egli tende ancora a salire sul podio di categoria.
Su questa sua formulazione si potrà anche non essere d'accordo, ovviamente: e per sicuro molti dei podisti "lenti" che partecipano solo per il gusto di esserci, indossando il pettorale non apprezzeranno questa sua ferma presa di posizione da "purista" della corsa".
Tuttavia, dalla lettura del suo libro, c'è sicuramente molto da imparare e, nella mente del lettore che sia conoscitore delle cose di corsa (non solo in teoria ma anche per esperienza diretta) si staglieranno indelebili dei brani stillanti di autentica passione che tutti coloro che hanno avuto dimestichezza con le gare di lungo corso non potranno non apprezzare.
Ed è soprattutto la statuizione serpeggiante in numerose pagine magistrali di questo testo ad avere una grande risonanza: cioè quella secondo cui la maratona "cambia la vita del runner", in quanto la maratona non è solo corsa, ma diventa regola e stile di vita, essendovi sempre la necessità di acquisire abitudini alimentari e consuetudini quotidiane che senza essere ascetiche devono essere necessariamente rigorose.
Il volume si conclude con una serie di appendici che potranno essere utili al maratoneta in erba per preparare la propria maratona secondo i principi di Breccia il quale, dopo essere stato preparato da altri, è diventato lui stesso "preparatore" di amici e di runner che sono entrati a far parte di un suo entourage.
La fatica più bella è sicuramente un volume che tutti coloro che amano la corsa dovrebbero leggere e conservare per rileggerlo di quando in quando e per ricordare a se stessi che, sempre, la Maratona dovrebbe contenere in sé inclusa una sfida al limite, al proprio personale limite: e che senza il desiderio di avvicinarsi al proprio limite non vale nemmeno la pena metterci mano.
(Dal risguardo di copertina) Come insegnano i filosofi orientali, la strada è più importante del traguardo, ed è il cammino a dare un senso alla meta.
«È il momento di avere pazienza e di non fare errori. È il momento di cercare la nostra corsa perfetta, quella che abbiamo costruito giorno per giorno, espressione del nostro personale equilibrio tra sforzo e durata, tra velocità e resistenza. Se ci siamo allenati con la testa, oltre che con le gambe, ormai la conosciamo bene, è diventata una vecchia amica. Siamo nelle condizioni migliori per metterla in pratica: non dobbiamo spingere troppo – anzi, dobbiamo controllare la velocità – e possiamo concentrarci sull'efficienza. Eccola, la nostra corsa perfetta!»
La corsa sulle lunghe distanze è una disciplina dura. Richiede costanza, capacità di sopportare la fatica e superare soglie di sofferenza a cui la nostra vita sedentaria non ci prepara. Ma è l’attività più naturale che sia possibile praticare; un’attività nella quale milioni di anni di evoluzione della specie ci hanno reso imbattibili. E, soprattutto, la corsa ci rende felici. Non soltanto più magri e forti, più sani e soddisfatti: riesce a toccare qualcosa di misterioso, che ci avvicina alla nostra natura più profonda e ci fa sentire liberi. Se l’uomo è un perfect runner, la maratona è la distanza perfetta. Rappresenta infatti il giusto compromesso tra resistenza ed efficienza: mette alla prova la capacità fisica e mentale di ‘tenere duro’, ma consente di esprimere un gesto atletico efficace, limpido, ‘bello’.Può essere un’avventura splendida o fallimentare; può lasciare stanchi e felici, o frastornati, svuotati e delusi. Non tutto dipende dal risultato. Come insegnano i filosofi orientali, la strada è più importante del traguardo, ed è il cammino a dare un senso alla meta.
(Note biografiche) Gastone Breccia vive a Cremona dove insegna Storia bizantina presso la Facoltà di Musicologia, sede staccata dell'Università di Pavia. Ha pubblicato diversi scritti di taglio storico-filologico su testi della cultura bizantina.
Negli ultimi anni si è dedicato alla ricerca in campo storico-militare anche al di fuori dell’ambito della bizantinistica. Esperto di teoria militare, di guerriglia e controguerriglia, ha condotto ricerche sul campo in Afghanistan (2011) e Kurdistan (Iraq e Siria, 2015). È membro del direttivo della Società Italiana di Storia Militare (SISM) e collaboratore fisso della rivista “Focus Wars”. Tra le sue più recenti pubblicazioni: I figli di Marte. L’arte della guerra a Roma antica (Mondadori 2012); L’arte della guerriglia (Il Mulino 2013); La tomba degli imperi (Mondadori 2013); Le guerre afgane (Il Mulino 2014); Nei secoli fedele. Le battaglie dei Carabinieri 1814-2014 (Mondadori 2014); 1915. L’Italia va in trincea (Il Mulino 2015); Guerra all’Isis. Diario dal fronte curdo (Il Mulino 2016).
Sul tema de "L'arte della guerra" (Einaudi 2009), ha scritto "Con assennato coraggio...L'arte della guerra a Bisanzio tra Oriente e Occidente", apparso nel 2001 su «Medioevo greco - Rivista di storia e filologia bizantina», e due saggi sulla guerriglia a Roma e a Bisanzio (Grandi imperi e piccole guerre) usciti sulla stessa rivista nel 2007 e 2008. Più divulgativo l'articolo Adieu, Herr von Clausewitz, un'analisi delle difficoltà americane in Iraq alla luce delle teorie belliche classiche, pubblicato su «Limes» nel 2006.