Dopo l'imperdibile, "Corro perché mia mamma mi picchia", il duo di amici runner (uno, Giovanni Storti è il noto uomo di spettacolo; l'altro Franz Rossi è direttore di un magazine molto seguito dagli appassionati del running amatoriale ed è lui stesso runner di vecchia data), è arrivato in libreria alla fine del 2018 Niente panico, si continua a correre, per i tipi di Arnoldo Mondadori Editore (Collana Strade Blu): si tratta di un libro spassoso su come è correre "dieci anni dopo" o "vent'anni dopo" e su come occorra modulare la passione del running man mano che le forze scemano e non è più possibile realizzare le imprese di prima, il tutto raccontato con una grandissima ironia attraverso una serie di episodi, in cui considerazioni varie ed esperienze personali si intersecano con la narrazione di storie che riguardano il mondo della corsa, oppure con la presentazione di fantasiosi ed improbabili personaggi che hanno cercato di introdurre variazioni nell'arte del running e dell'allenamento finalizzato alla corsa, intermezzi che sono dei veri e propri sketch comici.
Capitolo dopo capitolo si ritrova il gusto infinito della narrazione di storie di corsa, sia che riguardino gli Autori in prima persona, sia che riguardino altri: il libro è interamente scritto a quattro mani e gli autori, come viene sottolineato in premessa (come del resto era stato fatto nel precedente volume) hanno optato per non firmare i singoli capitoli (anche quelli in cui l'oggetto del racconto è un'"impresa" di corsa vissuta solo da uno dei due.
La lezione che se ne trae è che passata una certa età si può e- e si deve - a continuare a correre, a trarre piacere da quest'attività, ma soprattutto divertendosi e imparando a fare anche altro. E, infatti, a differenza che nel precedente volume in cui i due autori si soffermavano a raccontare (sempre con uno stile semiserio e con una buona dose d'ironia) imprese podistiche compiute indossando il pettorale, qui vi sono anche resoconti di tour in bici, di passeggiate, di piccoli o grandi trekking.
Insomma, gli autori vogliono dire che all'avanzare dell'età, si può sempre reagire, trovando di volta in volta la ricetta migliore per evitare di stressarsi troppo, continuando nello stesso tempo a divertirsi, con la sensazione di essere sempre performativi.
Questo approccio ironico allo story telling podistico è di fondamentale importanza e fa da contraltare - come un sano antidoto - all'esaltazione di quei runner che continuano a darci sotto, in modi non realistici, malgrado lo scorrere del tempo, ricorrendo a pietose menzogne per giustificare il proprio calo prestativo oppure facendosi male, alla lunga. Aggiungerei anche che la preziosa lezione che viene portata avanti è quella che chi corre senza ironia, prendendosi troppo sul serio, è perduto: e, soprattutto, non riuscirà a riciclarsi verso nuove forme sostenibili di running. Insomma, dicendolo molto sinteticamente, bisogna farsi fautori della celebre frase manzoniana: "Adelante, Pedro, ma con juicio".
L'unico difetto che io ho trovato nel volume è che le narrazioni riguardano partecipazioni ad eventi che sono troppo lontani dalle possibilità dei runner qualunque, quelli che non sono celebri, che non sono uomini di spettacolo e che non sono in alcun modo sponsorizzati.
A mio avviso, il narcisismo dell'eccezionalità delle imprese configge in qualche misura con il tipo di messaggio che i due autori vogliono veicolare. Questo tipo di scarto rischia di ottenere l'effetto pedagogico opposto, accentuando in alcuni lettori il senso di frustrazione.
Il volume è introdotto da una prefazione di Giovanni Porretti.
(Dal risguardo di copertina) Quello che si impara percorrendo di corsa chilometri lungo strade e sentieri è un vero e proprio stile di vita, in grado di migliorare la qualità della nostra esistenza.
Nella prefazione a questo libro, Giacomo Poretti sostiene che ai tempi dei nostri antenati si sapeva già molto del nostro degrado fisico e mentale. Gli australopitechi « intorno ai 20 anni facevano le gare con i giaguari, e spesso li battevano, arrivati ai 40 dopo 200 metri di corsa si fermavano per una birretta, a 60 anni, se ci arrivavi, ringraziavi il dio del sole e al massimo giocavi a scopone, te ne stavi rintanato nella tua bella grotta perché se per caso incontravi un giaguaro non riuscivi a fare 3 passi di corsa e finivi sbranato. L'uomo primitivo era ignorante e tirava su con il naso, ma era saggio, sapeva come godersi l'ultimo tratto di vita senza traumi e pericoli.» Oggi invece pare che questa consapevolezza sia andata persa. Si gareggia per il primato personale, per battere gli amici, per migliorarsi ad ogni costo. Si gareggia contro il tempo, ma sfidare il tempo che passa ha davvero senso? È una sfida persa in partenza per Giovanni Storti e Franz Rossi, la coppia di corridori scrittori che abbiamo imparato ad apprezzare con Corro perché mia mamma mi picchia . Gli anni passano per tutti: c'è chi se ne accorge vedendo il figlio cresciuto o i capelli incanutiti, e c'è chi li misura osservando i chilometri percorsi o la velocità raggiunta in gara. Ma la verità è che l'età non è nemica della corsa, basta saperla prendere con saggezza ed equilibrio. In un libro ricco di aneddoti personali e di avventure in giro per il mondo, Giovanni e Franz ci dimostrano che anche se il corpo invecchia non si può dire altrettanto dello spirito. Quello che si impara percorrendo di corsa chilometri lungo strade e sentieri è un vero e proprio stile di vita, in grado di migliorare la qualità della nostra esistenza. Dalla vetta del Kilimangiaro alla Grande Muraglia cinese, dalle corsette sotto casa alle maratone nel deserto, continua il viaggio di questi «assaggiatori di corse», come ebbero modo di definirsi, con un obiettivo preciso, dimostrare come spesso la ricerca del proprio record personale può avere come effetto collaterale la felicità. Un libro imperdibile per chi corre e per quelli che non capiscono perché, pur passati i sessanta, si continui a correre. «E poi,» ricorda Giovanni «se ho iniziato a correre io a cinquant'anni, possono farlo tutti!»
Gli Autori
Franz Rossi è un girovago. Nato a Venezia, cresciuto a Trieste, ha girato a lungo l’Italia fino a quando ha trovato un equilibrio dinamico a metà tra Milano (da dove dirige una software house) e un paesino della Val d’Aosta (dove si rifugia nella natura). Essendo fondamentalmente un pigro, cerca di sfruttare ogni occasione per vivere le sue passioni: così viaggia per correre e conoscere persone nuove. E viaggiando colleziona storie da raccontare. Tra i suoi libri ricordiamo Corro perché mia mamma mi picchia (Mondadori 2013, con Giacomo Storti), Una seducente sospensione del buon senso. Viaggio alla scoperta di ciò che devi lasciare (Mondadori, 2016).
Giovanni Storti (Milano, 20 febbraio 1957) è un comico, attore, sceneggiatore, scrittore e regista italiano parte del noto trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo.
La parte più importante della sua carriera di attore è prima in coppia con Aldo (dal 1982) e poi, dal 1991, anche con Giacomo. Ha lavorato in Sardegna (nel 1985 continuando per qualche anno a seguire) presso il Palmasera Village Resort di Cala Gonone insieme a Marina Massironi, Aldo e Giacomo. All'epoca, con Aldo, formava un duo chiamato La Carovana.
Quello stesso gruppo vedeva giovanissimi anche Stefano Belisari (Elio e le Storie Tese) come d.j., Giorgio Porcaro, Mario Zucca, Marino Guidi, Eraldo Moretto e altri.
Oltre questo, si registra l'attività di insegnamento di acrobazia teatrale presso la Civica Scuola d'Arte Drammatica di Milano e la cura dei movimenti dello spettacolo Pugacev di Franco Branciaroli. Nel 1989 fu regista dello spettacolo Non parole ma oggetti contundenti scritto da Giacomo. Come si può dedurre dai film del trio, Giovanni è un grande tifoso interista. È inoltre l'unico componente del trio che vive a Milano, precisamente nella zona di via Paolo Sarpi. È un maratoneta e ha partecipato a diverse competizioni, tra cui una nel deserto del Sahara. Pratica il Tai Chi presso la scuola Chang di Milano.