Ho sognato che correvo
All'inizio, ero lì che facevo una corsa da tapascione, strascinando i piedi e senza alzare le ginocchia.
Poi, quando mi superava il primo della gara, avveniva un'improvvisa svolta - assolutamente improbabile - e lì per lì mi mettevo appresso a lui e mi sembrava di volare. Finivo per superare il primo e correvo davanti a lui, persino.
Correvo come mai avevo corso in vita mia, alzando le gambe e sviluppando una falcata ampia e leggera, piena di potenza.
Ero inebriato da questa improvvisa svolta nel mio modo di correre.
In un altro frammento di sogno, invece, ero nel bel mezzo di una gara trail, alle prese con un passaggio periglioso: bisognava scendere lungo un piano inclinato molto lungo e stretto. Era come un muro fatto di conci di tufo, altissimo, con il bordo superiore - quello su cui bisognava procedere - non più largo di 30 centimetri e inclinato di 45 gradi.
Bisognava scendere lungo questo crinale artificiale dalla cima di un monte sino al livello del mare. Insomma, era una corsa - più che trail da equilibrista - che deve avanzare sul filo teso senza rete di protezione oppure da virtuoso della corsa in montagna estrema alla maniera di quel fenomeno di Kilian Jornet Burgada.
Ricordo chiaramente che, in quel frangente, avevo molta paura: e siccome le gambe mi tremavano, non potevo fare altro che scendere di culo, scivolando più che altro, centimetro dopo centimetro.
Avevo paura di scivolare in avanti senza controllo, oppure di cadere lateralmente dalla sommità del muro, sul terreno ripido e accidentato di rocce frastagliate al di sotto.
La sommità del muro - una vera e propria cengia - tra l'altro era instabile: alcuni dei conci di tufo non erano ben fissati con la malta e oscillavano pericolosamente sotto il mio peso.
Non vedevo l'ora di arrivare in fondo. La paura mi tratteneva dal procedere più speditamente.
Il cielo era di uno splendido azzurro, così azzurro che feriva gli occhi.
Questo passaggio nel corso del sogno si ripeteva più volte e sembrava non avere mai fine.
I sogni di libertà (o di liberazione) sono quasi sempre sogni di corsa o di volo, o entrambe le cose, chissà perché.
I sogni di libertà sono anche sogni di paura. La libertà fa paura, soprattutto quando ti porta a guardare verso l'infinito oppure verso il vuoto, entrambi dotati di fascino indicibile che può in alcuni casi diventare orrido e infido, a volte mortifero.
Non a caso il sottotitolo di "Easy Rider", film cult di un'intera generazione e icona intramontabile dei road movies, recita, nella sua divulgazione italiana: "Libertà e Paura".
Da paura...
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