Quando correvo ancora e ben prima di cominciare ad usare in maniera estensiva la connessione internet e le possibilità offerte dalla navigazione in rete. utilizzavo il computer principalmente come strumento di scrittura.
Scrivevo di tutto dalla elaborazione di articoli scientifici concernenti il mio lavoro, a scritti fantasiosi e di cultura generale (andando nelle direzioni più impreviste verso cui mi spingesse la mia curiosità) ai "diari di corsa".
Siccome la partecipazione alle gare di corsa era legata a filo doppio alla dimensione del viaggio (mi piaceva scegliere gare che mi consentissero in posti lontani e/o nuovi) scrivere di corsa significava anche elaborare una cronaca del viaggio.
In realtà, la corsa era appena un pretesto. Ciò che contava era la dimensione del viaggio:e si trattava, a tutti gli effetti, di un doppio viaggio poiché oltre a quello per raggiungere il teatro della gara (in Italia o all'estero) c'era il "viaggio" della maratona in sè (o dell'ultramaratona di turno). Ho sempre inteso la partecipazione ad una gara lunga come un piccolo viaggio più che come una gara, un viaggio sempre affascinante che, di volta in volta, cambiando gli scenari esterni ed interni, mi regalava punti di osservazione nuovi su me stesso, pensieri, stimoli associativi e vedute inedite; per non parlare del fatto che una gara lunga come la maratona o oltre è anche una potente metafora della vita con le sue gioie, i suoi piaceri, i suoi incontri, i suoi dolori e le sue agonie con il vantaggio inestimabile che, a differenza di quanto accade nella vita, questa esperienza "esistenziale" può essere replicata tutte le volte che si vuole, alla ricerca di seconde e terze chance. In più, soprattutto negli ultimi tempi, anche in corso di gara avevo con me una piccola macchina fotografica analogica, con la quale facevo sempre degli scatti, anche se ancora l'epoca delle "foto-maratone" non era giunta. La cronaca di viaggio, si noterò, era d'altronde anche la cronaca delle mie letture: il viaggio era infatti un luogo privilegiato per dedicare la mia attenzione a libri nuovi (era un rito immancabile quello di comprare un libro alla partenza ed uno durante il viaggio di ritorno) oppure per finire dei libri già iniziati. Una parte importante del mio bagaglio, anche per i viaggi più brevi erano infatti i libri (suddivisi nelle due categorie di "libri da zainetto" e "libri da borsa").
Quello che segue è il racconto della mia partecipazione alla 100^ maratona in carriera e si tratta della maratona di Reggio Emilia del 2001,. Anche per questo volli dare a questo scritto una particolare rilevanza. Si noterò, inoltre, che la narrazione parte da lontano, poiché - prima di arrivare a Reggio Emilia - mi ero recato a Pietrasanta (in Toscana) per partecipare ad un convegno sulle Tossicodipendenze: cercavo di unire così l'utile al dilettevole, risparmiando al tempo stesso preziosi giorni di ferie.
Lo scritto ebbe - come si vede dalle date riportate in calce - un lungo periodo di gestazione/elaborazione (e lo portai a termine solo nel giugno 2002).
La mia centesima maratona
(Reggio nell’Emilia, 16.XII.2001)
Preambolo
Questo che descriverò nelle pagine seguenti è stato un viaggio all'insegna delle difficoltà sia all'andata che al ritorno sia in tutti gli spostamenti intermedi, per via della imprevista soppressione del volo Palermo-Firenze, e poi a causa di un inaspettato sciopero regionale dei ferrovieri della Toscana e infine, durante il viaggio di ritorno, per problemi di maltempo.
A causa degli intoppi nel viaggio in aereo, ho dovuto fare una lunga sosta all'aeroporto di Roma, ma non si è trattato di un inconveniente grave, perché nell'attesa sono andando all'ufficio postale ad effettuare alcuni versamenti che a Palermo non mi era ancora riuscito di fare… una modesta coda, rapidità ed efficienza da parte degli impiegati di quest’ufficio postale… piena soddisfazione da parte dell’utente… sono questi i piccoli dettagli che mi fanno sempre riflettere al fatto che noi in Sicilia viviamo, a tutti gli effetti, su di un altro pianeta… e che mai ci sarà una possibilità di emancipazione e di riscatto… poi letture e ancora letture, messaggini, qualche telefonata… Grande sconforto a Firenze, quando ho scoperto di questo sciopero regionale dei ferrovieri che ha causato un notevole incremento dei tempi morti, e di sofferenze legate al sovraffollamento nei pochi convogli funzionanti. Un contrasto enorme tra lo scarso numero di treni presenti ai diversi marciapiedi e la gran quantità di persone palesemente irritate, grandi masse di gente in attesa, spostamenti febbrili da un convoglio all'altro appena si sporgeva la diceria che un certo treno sarebbe partito in anticipo, nessuno a cui chiedere informazioni e notizie attendibili,
Per completare il quadro, all'arrivo a Pietrasanta, mi accolgono freddo, gelo e pioggia battente. All'inizio l’impatto con la cittadina è decisamente sconfortante, un’immagine di solitudine e di desolazione: appena uscito sulla strada dalla stazione ferroviaria sono colpito dal silenzio e dalla scarsità del traffico automobilistico, solo pochi passanti frettolosi al riparo di grandi ombrelli sgocciolanti, lampioni radi che diffondevano attorno una fioca luce gialla.
In realtà Pietrasanta è una bella cittadina duecentesca, fondata quasi ex-novo su di un preesistente insediamento, interamente circondata in origine da una cinta muraria e dominata da una rocca fortificata (che deve la sua forma definitiva a Castruccio Castracani) dalla quale scendevano due cortine di mura merlate (tuttora in buono stato di conservazione) ad abbracciare la cittadina, che si distende nella piana tra i monti e il mare con un disegno trapezoidale.
Riparandomi alla meno peggio, ho raggiunto il Teatro Comunale, sede del congresso, rinunciando a passare prima dall’albergo a depositare il mio bagaglio, perché sono già in ritardo.
Fortunatamente, non ho perso molto dei lavori…
Seguo quindi le relazioni, anche se mi sento particolarmente spossato… a conclusione di questa prima tranche dei lavori, ci spetta un buffet freddo, che più freddo non si può, ma comunque ricco e sontuoso, presso il Chiostro S. Agostino, subito accanto al teatro.
Infine, tutto tremante di freddo, trascinandomi appresso armi e bagagli lungo gelidi vicoli deserti, spazzati dal vento, ho raggiunto di filato all’albergo dove ho la prenotazione, l’Hotel Stipino, un modesto due stelle, a poca distanza dalla statua di Botero, un inquietante guerriero greco ignudo a parte l’elmo e lo scudo, che domina un’ampia piazza.
Botero, come apprenderò in seguito in una conversazione con la barista di uno dei locali di piazza del Duomo, ad un certo punto della sua vita decise di insediarsi a Pietrasanta, che tra l’altro è rinomata per le sue attività artistiche e soprattutto per i suoi artigiani che lavorano la pietra e il marmo per la statuaria, diventandone forse anche cittadino… Botero per assolvere ad un debito di gratitudine nei confronti della società civile che lo aveva accolto, nel 1922 volle fare dono al Comune di Pietrasanta di questa statua e, in un tempo successivo, di due grandi affreschi che adesso sono collocati in una chiesa del centro storico… di recente la città, in Piazza del Duomo ha ospitato una mostra di statue bronzee di Botero estremamente suggestive…
Nell’oscurità, nella luce tremolante dei lampioni scossi dal vento e mentre il nevischio turbina, il tozzo guerriero bronzeo mi appare come una rassicurante, anche se enigmatica, sentinella di guardia.
La mattina dopo mi sono risvegliato decisamente rinfrancato.
Dopo il freddo e l’umido di ieri, ho dormito avvolto in un piacevole tepore, che mi viene faticoso abbandonare… Ho socchiuso le imposte della finestra, aperto gli scuri e, solo per un istante, perché poi la percezione del gelo mi ha distolto dal tenere il naso esposto più a lungo dello stretto indispensabile, mi sono affacciato per dare una sbirciata: fuori era ancora buio, anche se, faticosamente dalla zona di cielo ad oriente si andava dispiegando pallido il primo chiarore del giorno.
Mi son detto: “… ma sei matto ad andare a correre con questo freddo!”
Tanto è bastato, mi sono subito tuffato sotto le coltri, al caldo, a leggere per un po’.
Ma questo stato di grazia non è durato molto; ben presto, il senso del dovere mi ha chiamato imperiosamente e così, benché una parte di me urlasse dal desiderio di rimanere ancora a leggere, violentandomi quasi, ma nello stesso tempo con una percezione di me stesso quasi-eroe, per quello che mi accingevo a fare, mi sono sollevato dal tiepido giaciglio e, senza ulteriori indugi, mi sono addobbato per la corsa, non trascurando di indossare calzettoni di lana e k-way, ma niente cappellino e nemmeno guanti.
Sono andato a correre, dunque, dopo una sosta al bar per una frugale colazione con cornetto e cappuccino.
L’inizio della corsa è stato lento e faticoso; mi sentivo molto intirizzito; poi ho cominciato ad andar bene, a “carburare” e non ho più sentito il gelo spacca-ossa; ho constatato con piacere di essere sufficientemente ben coperto per affrontare questo freddo polare.
Gradatamente, è subentrata in me una sensazione di benessere, anche mentale, e, alla fine, sono stato ben lieto di essermi forzato ad intraprendere questo non ordinario allenamento: ma, del resto, è sempre così che vanno le cose…
Ci sono sempre miriadi di sensazioni belle ed inedite che man mano che vado correndo cerco di registrare in una sorta di lavagna mentale per potermele ricordare dopo; in questa occasione, man mano che m’inerpicavo su per i tornanti della strada ghiacciata e osservavo il dispiegarsi di fronte a me, al di là dell’agglomerato di case del paese, della costa della Versilia, non potevo fare a meno di pensare di pensare al verso carducciano (studiato e ristudiato sin dalle elementari) che dice, descrivendo il mare in tempesta in un giorno d’inverno, “…il maestrale urla e sconvolge il mare”, mentre i cipressi che adornano numerosi le terrazze coltivate che attorniano eleganti case di pietra mi rimandano all'immagine de “… i cipressi che da Bolgheri alti e schietti vanno a S. Guido in duplice filar…”.
Già, in effetti – come mi ha ricordato l’uomo triste del bar – rispondendo ad una mia specifica domanda, “…questi sono i luoghi carducciani per eccellenza [Versilia e dintorni]”.
Ecco come ho condensato le mie impressioni della corsa di questo primo giorno a Pietrasanta.
Venti gelidi hanno spazzato
le strette strade del borgo antico
all night long
Fragili foglie secche
marroni e gialle dall’aspetto rugginoso
rami spezzati
frasche d’abete e di pino,
ancora verdi e odorose di fragrante resina,
strappate dalla tempesta notturna
si aggregano in pot-pourri naif
per dissolversi subito dopo
Cime snelle di cipressi svettanti
oscillano sotto l’impulso delle raffiche
Una pianta d’arancio
incongrua nel panorama glaciale,
carica di frutti precoci,
surreali chiazze colorate
in risalto sulle dominanti tonalità di grigi e di verdi cupi
e sulla coltre bianco candida
di nevischio spruzzato dalla notte
sul colle
ricoprendo chiazze di muschio
cresciute su tetti di lamiera ondulata
La strada s’inerpica a tornanti:
nei suoi tratti più riparati
il suo asfalto ruvido è ricoperto
da una sottile patina di ghiaccio
e placchette di nevischio condensato
Un buon odore resinoso riempie l’aria
assieme a quello aromatico di legna
arsa nei forni e nelle stufe
Dalla porta socchiusa della bottega di un fornaio
si diffonde tiepida
la fragranza di pane fresco
benedetto
L’uomo del bar
ancora deserto di primo mattino,
brontola tra sé e sé che andrà in vacanza tra pochi giorni
(chi sa dove mai andrà? – mi chiedo io – Forse in un paese caldo,
all’ombra di palme da cocco
con la vista su di una barriera corallina
popolata di pesci dai prodigiosi accostamenti cromatici…
uno dei posti di vacanze illustrati da Houllebecq…
Ma non mi sembra il tipo che coltivi dentro di sé
il desiderio di gettare lo sguardo su altri orizzonti…
non mi sembra proprio il tipo che in generale abbia desideri…)
Non c’è nessuno che venga da queste parti d’inverno
– si lamenta il barista –
specie ora che il vento freddo si è abbattuto sul paese
Il bronzeo guerriero di Botero
domina la piazza
misterioso
con la sua solida presenza
e la sua nudità vestita
Nella chiesa silente,
già aperta per le devozioni del mattino
brillano instabili fiammelle di ceri votivi
collocati in ordine nelle rastrelliere di ferro
Dopo l’obolo doveroso
nell'apposita cassettina delle offerte
due altre esili fiammelle
timide e ritrose all’inizio
s’innalzano vibranti
a riscaldare l’aria,
Un cero arde
dedicato a chi non è più,
tragicamente scomparso,
travolto da un destino inclemente
l’altro arde
perché veicoli al cielo
un pensiero di religiosità selvaggia
per ciascuna delle mie persone care,
in nome della scommessa di pascal
Il giorno dopo, di sabato mattina, di nuovo con analoghe difficoltà vado a correre, ma la temperatura è ben più mite, un pallido cielo azzurro percorso da nuvolette candide con bordi morbidi ma non sfilacciati.
Alle 7.30 di sabato mattina la cittadina è pressoché deserta.
Questa mattina, mi sono accinto a correre più vogliosamente, anche se di nuovo prima della corsa ho voluto assaporare il piacere di indugiare tra le coperte a leggere l’ultimo romanzo della coppia Preston/Child. D’altra parte, un po’ di riposo addizionale è necessario:la sera prima ero andato a letto tardi, perché dopo la cena con i colleghi nella quale mi sono inserito da clandestino e che si è protratta a dismisura, c’è stato il passaggio dal Nirvana, un intrigante locale che avevo adocchiato la mattina quando cercavo un ristorante per il pranzo. Il Nirvana è risultato essere un posto intimista ed esotico, nel quale si entra scalzi, dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso in un’apposita rastrelliera (i calzini sono concessi, con ampia tolleranza per eventuali buchi sull’alluce…), con luci soffuse, fragranze d’incensi delicati, gente a gruppetti intenta in pacate conversazioni, con la possibilità di effettuare la propria scelta da una lista di ottimi the alcuni in preparazioni davvero particolari e a prezzi moderati, serviti all’occorrenza dai gestori nel rispetto di quelle che sembrano ritualità orientali (vedi, come antecedente dotto su queste ritualità Il libro del The di Okakura Kakuzo).
Insomma, dopo i consueti preparativi del primo post-risveglio) sono andato a correre, ma sempre bardato come ieri, questa volta portandomi appresso la macchinetta fotografica palmare: a differenza di ieri, per esplorare più a fondo il posto, ho deciso di correre in direzione del centro, approfittando della grande quiete e godendo di odori e suoni smorzati, del volo dei piccioni e dalla marcia guardinga di un gatto alla ricerca di preda.
Salgo sulla rocca fortificata, da cui si domina la cittadina, la strada, molto ripida, dopo un po’ non è più percorribile con le auto (per fortuna), il fondo è un antico selciato di pietre sconnesse.
Dalle impalcature collocate lungo la cinta si comprende che la cortina muraria è tutta in fase di restauro.
In cima si entra nella parte maggiormente fortificata dell’antica cittadella, quella voluta da Castruccio Castracani e edificata nel XIV secolo.
Dal punto più elevato della rocca si può riconoscere bene il disegno della nucleo più antico della cittadina e la sua pianta rettangolare percorsa da lunghe strade longitudinali che si aprono tutte nella lunga piazza del duomo con l’asse maggiore orientato perpendicolarmente rispetto agli assi viari principali.
Dall’alto scatto qualche foto: in lontananza, al termine della piana di circa tre chilometri s’intravede il mare grigio azzurro, un po’ limaccioso per via delle recenti piogge. Verso nord la costa si fa più alta e montuosa, là dove le Alpi Apuane convergono verso la Liguria.
Dopo la corsa, di nuovo il convegno, ma tutto finisce abbastanza presto, in maniera rilassante: già a mezzogiorno veniamo congedati e ci congediamo gli uni dagli altri… il prossimo treno per Firenze partirà soltanto alle 15.00 circa… c’è un bel sole … e così, ritornando sui miei passi, vado a sedermi in un bar della piazza… rispetto al freddo e all'umido dei due giorni precedenti è estremamente piacevole starsene seduti nella calda luce del sole, immerso nella lettura di un buon libro… prima prendo un aperitivo (il solito negroni), poi mi decido a mangiare qualcosa … ma purtroppo non c’è granché da scegliere … devo accontentarmi… mangio soltanto perché il mio stomaco smetta di brontolare … intanto mi godo il tepore, assaporando l’atmosfera sonnacchiosa della piazza e procedendo nella lettura del romanzo, Ice limit di Preston/Child che mi sta coinvolgendo maggiormente: sono arrivato al punto critico della narrazione e non posso più dosarne la lettura.
Un’altra lettura che in questi giorni ha polarizzato la mia attenzione è stato il romanzo di Catherine Millet, nota critica d’arte francese, (La vita sessuale di Catherine M.), acquistato sulla base di un’attrazione improvvisa ed irresistibile all'aeroporto di Roma: più che un romanzo, come un romanzo lo si può comunemente intendere, si tratta di una minuziosa descrizione, quasi entomografica, delle più svariate performance sessuali dell’autrice, in coppia, in situazioni multiple, con conosciuti e con sconosciuti, all’aperto, al chiuso, in luoghi stimolanti per le loro valenze estetiche e in luoghi squallidi; detto in altri termini, una sorta di enciclopedia sui più diversi modi in cui si può scopare, con delle sottili distinzioni tra la scopata pansessuale e le situazioni che invece attivano i sentimenti e gli affetti nel senso di una più specifica attrazione amorosa. Insomma, una lettura sociologicamente interessante, che, dopo un po’, non è più capace di provocare alcuna attivazione della fantasia, talmente ridondante e monotematica è la descrizione di situazioni sessuali e scopereccie… una lettura cominciata quasi per caso, sull'onda dell’interesse suscitato in me dal romanzo di ben altra levatura di Houllebecq, Piattaforma e poi continuata per forza, per poi poterne scrivere alcune note di commento, come appunto sto facendo adesso.
Finalmente salgo sul treno, e lasciandomi alle spalle Pietrasanta (con la netta sensazione che l’incontro con questa cittadina decisamente, malgrado il tempo cattivo, è stato davvero felice), viaggio senza problemi sino a Firenze.
Ma quella del poter viaggiare “senza problemi” è un’illusione che dura solo per breve tempo: nel secondo segmento del viaggio, il treno che va da Firenze a Bologna è superaffollato, ma riesco comunque a trovare un posto… il treno attraversa gli Appennini, immergendosi presto in un paesaggio spettrale … disseminato di chiazze nere che spezzano a patchwork l’uniformità della coltre bianca che riveste ogni cosa … sull’Appennino Tosco-Emiliano in questi giorni ha nevicato abbondantemente…
Leggo e, di tanto in tanto, sbircio fuori dal vetro, traendone sensazioni di straniamento: anche se i finestrini sono chiusi, sembra che tutto quanto all’esterno sia avvolto in una coltre di ovatta che smorza ogni suono …
Dopo l’attraversamento di questo paesaggio così surreale e fantasmagorico nella sua dominanza di colori smorti e crepuscolari, quasi lunare, l’arrivo a Bologna è l’immersione in una folla variopinta e vociante è un vero e proprio shock… dopo un’attesa di appena mezzora nel freddo gelido, bekko finalmente il treno per Reggio Emilia… a Bologna c’è in corso il Motorshow … una cosa disgustosa … calche di giovani, incolti e desiderosi solo di alimentare la propria passione per quest’oggetto feticcio che è l’automobile, si riversano all’interno della stazione dopo aver passato l’intera giornata all’expo, riportando con sé ai propri luoghi trofei di vario genere cappellini, affiche, materiale promozionali e gadget di ogni tipo … sono tutti super-eccitati e vocianti, prendono d’assalto i treni che arrivano per salirvi a grappoli… anch’io, letteralmente sperso all’interno di questa folla che non posso a fare a meno di guardare con spirito di sufficienza (quella che io, al massimo dell’irritazione, non posso che definire una massa di pischelli e piscialetto presuntuosi), riesco a salire sul treno e a conquistarmi un posto a sedere … ma presto rimango incastrato nella postazione, che così faticosamente ho conquistato a forza di sgomitate e di spintoni, il corridoio centrale è letteralmente intasato di corpi compressi gli uni sugli altri come sardelle in scatola, il pianerottolo della carrozza su cui si aprono le porte esterne è altrettanto ingombro … Alcuni si sono persino collocati nella toilette, malgrado la puzza e lo schifo, ma evidentemente non sono di naso troppo fino … Quando il convoglio arriva a Modena comincio a pormi seriamente il problema di come farò a venir fuori da questa bolgia umana …. Mi decido alla fine perché non c’è altra scelta e, avventurandomi nella calca, comincio di nuovo a sgomitare senza pietà e giocando a fare un’abile combinazione d’incastri e disincastri progressivi riesco ad arrivare in prossimità della porta, tirando a questo punto un sospiro di sollievo …
Anche, a Reggio E. si potevano vedere i segni tangibili di un’abbondante recente nevicata: pur essendo state le strade in parte liberate dall'intasamento, la neve continuava a resistere e ad occuparne i bordi in grandi cumuli, ricoprendo ancora molti dei marciapiedi, in alcuni tratti gelata con la conseguenza di una certa difficoltà nel camminare … Osservo, mentre vado avanti faticosamente con le mie borse che c’è molta gente festante per le strade … alcuni sicuramente intenti a fare le ultime corvée natalizie, per cogliere le ultime occasioni in tempo utile e per non essere strangolati dalla necessità di dover sopperire l’ultimo giorno con urgenza a qualche involontaria dimenticanza… uno spettacolo bello, pieno di calorosità … nulla a che vedere con il popolo ottuso del motorshow … raggiungo l’albergo a piedi, godendomi la passeggiata malgrado il peso della borsa … è lo stesso albergo dove ho pernottato l’ultima volta che ho partecipato alla maratona di R.E. nel 2000: allora ero venuto assieme ad Alberto…
L’albergo è davvero ottimo, a due passi dalla partenza: appena arrivato, non mi concedo molta tregua … esco subito per andare a ritirare il pacco gara, alla Camera di Commercio, passando dalla piazza dei Martiri del 5 Luglio dove domani avrà luogo la partenza e l’arrivo, e noto che l’acqua della fontana rotonda è congelata e che attorno alla superficie di ghiaccio vi è un ampio cerchio di neve ancora candida.
Vado subito a mangiare in un ristorante-pizzeria a poca distanza dalla centro-gara, limitandomi ad un buon piatto di pasta e ad una porzione di bresaola; intanto vado leggendo il libro di Riotta, NY 11 Settembre 2001, che francamente trovo alquanto irritante, perché troppo smaccatamente a favore degli americani con un’invocazione alla pietà nei confronti di quella che, di fatto, secondo il pensiero di molti intellettuali militanti non allineati, tra i quali in primo piano l’autorevole Noam Chomsky, è la prima potenza terroristica del mondo….
Torno subito dopo in albergo e a nanna presto…
La gara
Una giornata splendida.
Dopo il freddo dei giorni precedenti si affaccia questa incredibile giornata: l’aria e fredda e tagliente, ma ciononostante il cielo è azzurro, di una limpidezza sconvolgente… non una bava di vento… non una singola nuvola… la fontana della piazza tutta circondata di neve non sciolta è ancora più congelata, ma non è ancora stata raggiunta dai raggi del primo sole…
La coltre di neve è solcata adesso da sequenze d’impronte,che s’incrociano più e più volte e che indicano i movimenti dei podisti, che si spostano individualmente oppure in branco dalle loro “tane” notturne al punto di raduno… queste tracce sulla neve, unico segno sulla coltre altrimenti candida, evocano in me l’immagine di vie imperscrutabili lungo le quali si snodano molteplici destini incrociati … quelli dei maratoneti d’Italia qui riuniti…
Queste annotazioni le sto completando solo a distanza di molti mesi … la parte centrale di questa cronaca di maratona è rimasta una pagina bianca per tanto tempo: forse, dopo lo sforzo di concludere le annotazioni sovrabbondati relative all'anabasi e alla catabasi di senofontiana memoria, le mie energie rievocative si erano esaurite e non mi era stato più possibile completare in modo esaustivo la cronaca soggettiva relativa alla gara … la mia terza partecipazione alla maratona di R.E., con due iscrizioni abortite (nel senso che, in due diverse occasioni, negli anni passati avevo mandato l’iscrizione, ma poi avevo rinunciato a partire…) … non ho trovato nessuna annotazione trascritta provvisoriamente nella mia agenda che possa fungere da ausilio per la memoria in questo lavoro della reminiscenza, ho ben pochi ricordi mentre scrivo, forse non soltanto per il tempo trascorso, ma anche perché durante la gara avevo portato con me la piccola macchina fotografica, tenendola in mano per tutta la durata della battaglia … avevo voglia di avere anche una mia personale documentazione fotografica della partecipazione a quest’evento… soprattutto in relazione all'insolito cromatismo ambientale… tutto bianco attorno e grandi alberi spogli, campi brulli sotto la coltre di neve, ma il cielo azzurro ed il sole brillante che dovunque faceva scintillare i minuscoli cristalli di ghiaccio… immagini surreali che mi riempivano la mente e il cuore … però forse proprio perché di tanto in tanto mi fermavo a fissare un colpo d’occhio sulla pellicola … la mia mente s’è impigrita e ha svolto meno bene il suo lavoro come psychic camera …quindi, adesso, a distanza di tanti mesi come supporto della mia memoria ci sono soltanto alcune fotografie a colori che, tra l’altro, per lungo tempo ho trascurato di far sviluppare dal fotografo e soltanto da poco ho ritirato…
Quindi, mentre mi accingo a scrivere della cronaca soggettiva della mia centesima maratona, ho una sequenza di foto da contemplare, che mi possono servire da ausilio per la reminiscenza, tante foto sparse accanto alla tastiera del PC che mi colpiscono con la forza della loro suggestione… rettangoli di carta di formati diversi, dominati dall'azzurro del cielo e dal bianco della coltre di neve… in prevalenza raffiguranti nastri d’asfalto e strade sterrate che tagliano queste due campiture di colore, entrambe abbaglianti nella loro indicibile purezza, su cui, estremamente minuscole, si stagliano le figurette smilze dei maratoneti … ciascuna immersa in una grande aura di solitudine … ogni tanto, come variante, le immagini di grandi alberi spogli … poi un unico albero secolare, anch’esso spoglio, ripreso in controluce nelle sue essenziali, sagoma di un nero cupo che lancia le sue braccia scheletrite in alto verso il cielo deserto…
Ma voglio riguardarle ancora una per una, queste foto, e così poter ricordare…
Alla partenza ad allietarci c’è la banda dei bersaglieri con i suoi ottoni lucenti che intona i soliti motivi militareschi, con le note musicali che appena escono dalle bocche degli strumenti sembrano trasformarsi in ghiaccioli, cadendo subito dopo a terra con un rumore di vetri infranti, mentre tutt'attorno i maratoneti si aggirano intirizziti, con nuvole bianche di condensa che escono dalle bocca e dal naso, stropicciandosi le mani per cercare di ridare loro un po’ di calore, molti con scelte vestimentali bizzarre, ma tutte concepite per dare a ciascuno il massimo comfort rispetto al gelo così imperioso…
Poi, finalmente, mentre ci stringiamo tutti l’uno all'altro sempre più infreddoliti in una massa tipo mandria affollata dentro un cattle-pen, viene dato il via e il grande serpentone di podisti si mette in movimento, come al solito con la testa fatta dai più veloci e il corpo dai lenti… ci sono solo alcune istantanee della prima parte della maratona, il cui percorso – prima di dirigersi verso la campagna – si snoda per le vie di Reggio, fiancheggiate da alberi scheletriti: nella prima, molto scura perché la via bordata da alti palazzi è ancora in ombra, la massa dei podisti è piuttosto densa, ma già alla successiva la strada sembra quasi vuota: sono già stato superato da quasi tutti e mi ritrovo già nelle “retrovie” cui sono tanto affezionato (Maurizio Crispi, il “filosofo delle retrovie”) solo pochi sono dietro di me, tutti gli altri già mi precedono … la via della città che sembra ora praticamente deserta… pochi passanti e pochi maratoneti sparsi, alcuni davanti a me e alcuni ancora dietro… ma quelli dietro, a giudicare dal rumore dei passi alle mie spalle,si vanno avvicinando inesorabilmente.
Penso: “Se già adesso che non abbiamo percorso cinque chilometri sono a questo punto, come andranno le cose al 20° oppure al 30°? Sarò condannato ad una totale solitudine… in mezzo alla neve e al ghiaccio…”
Le foto che mentre scrivo stanno sparse sul tavolo acanto a me mi parlano di freddo e solitudine: questi grandi viali alberati, completamente vuoti di automobili, pulitissimi; i marciapiedi, completamente ricoperti di neve; gli alberi, nude sagome nere che si protendono verso il cielo.
In un’altra foto, mentre siamo ancora in città, il sole è arrivato a illuminare di taglio la cortina di edifici che fiancheggia la via … questa lama di luce che sembra donar vita all’improvviso gli alberi quiescenti, contrasta con la superficie di asfalto nera e vuota… e la fa apparire ancora più morta…
Dopo, nella sequenza delle foto, un balzo in avanti quasi al 10° km quando il percorso abbandona la strada asfaltata e piega verso un grande edificio antico, isolato al centro della campagna, dove ha sede un istituto della Facoltà di Agraria: il percorso procede attraverso una distesa ampia e spoglia, la superficie della strada sterrata appare granulosa e ricoperta qua e là da grumi di neve ghiacciata, ma nel complesso appare biancheggiante… su entrambi i lati, un’ampia zona di rispetto spoglia, delimitata su uno dei lati soltanto da un filare di grande alberi secolari, molto spaziati gli uni dagli altri, con rami spogli che dopo essersi orientati verso l’alto si ripiegano mortificati verso terra… grandi figure siderate nel loro dolore… Adesso il paesaggio è in pieno sole… i minuti cristalli della neve ghiacciata scintillano … il cielo è terso e cristallino con una tenue luminosità gialla che si accende verso la linea dell’orizzonte lontano…
Solo guardando questo lungo rettifilo sterrato… Ne traggo una sensazione di grande solitudine, per quanto in una delle foto, vi siano, a meno di cinquanta metri da me, un gruppetto di podisti e un tipo anziano molto allampanato che subito mi precede con un’andatura lenta e strascicata.
Mi sono fermato apposta per fotografare uno dei grandi alberi scheletriti che fiancheggia questo tratto di strada… sono stato molto colpito dall'effetto di controluce, determinato dal sole ancora relativamente basso sull'orizzonte che faceva risaltare nettissimi il tronco e ogni singolo ramo, mentre una lunga ombra veniva proiettata sulla neve spingendosi sino ai miei piedi..
Poi, per un bel po’ di tempo troppo preso dalla fatica di questo andare non ho più scattato una sola foto … mi sono tenuto la macchinetta fotografica in mano come una cosa morta…rammaricandomi di averla portato … perché a questo punto, con l’avanzare della stanchezza, anche il suo relativamente piccolo peso mi infastidiva…
La strada si è andata inerpicando sempre di più verso i colli che prima alla nostra partenza da Reggio parevano lontanissimi, quasi irraggiungibili… passando attraverso enormi campi piatti tutti rivestiti da uno strato sottile di neve… case coloniche sparse… e radi filari d’alberi… si è arrivati infine al giro di boa della mezza maratona e si è ripresa la via del ritorno lungo una strada diversa … il punto di ricongiunzione con la strada percorsa all'andata è in questo percorso, ormai consolidato dalla tradizione, in corrispondenza dell’istituto della Facoltà di Agraria di cui raccontavo prima… mi sento spossato, eppure continuo ad andare avanti pian pianino senza demordere e limitandomi a camminare soltanto in vicinanza dei posti di ristoro… mangio e bevo … c’è un po’ di tutto … non c’è bisogno di dar fondo alle mie scorte di emergenze custodite nel piccolo marsupio che mi sono portato… mi dispiace soltanto per il fatto che il thè che distribuiscono ai posti di ristoro sia completamente freddo… mi piacerebbe poter ingurgitare una bevanda calda… ma, in effetti, con il continuo movimento e grazie anche al sole molto caldo … non si sente molto freddo…
Attorno al 32°km ho scattato altre due foto, le ultime: in una si vede il tratto curvilineo di una strettissima stradina di campagna fiancheggiata da alti alberi anche questi spogli… questo punto, anche nelle due precedenti occasioni, mi è sempre piaciuto particolarmente, solo che nelle altre due circostanze non c’era la neve… mi piace scattare la foto qui, perché da questa prospettiva i tronchi degli alberi che appaiono neri in controluce sembrano delle colonne, come se dal mio punto di vista potessi osservare la navata di un tempio antico con il sole che entra imperioso da un’apertura posta in alto nel suo frontone proiettando le ombre lunghe delle colonne sino ai miei piedi…
Un’altra foto mostra due casali isolati che emergono da piatti campi innevati e in primo piano un filare di sottili tronchi neri spogli.
Infine l’ultima foto è di nuovo un colpo d’occhio sulla strada del ritorno lungo la via che porta all’Istituto della Facoltà di Agraria … ma, in quest’immagine, le ombre sono già più cupe e dense … gli alberi scheletriti a lato della strada appaiono più stanchi come se i rami ricurvi adesso agognassero a poggiarsi a terra, la superficie dello sterrato prima bianca di ghiaccio adesso ha perso gran parte del suo candido mantello… il cielo verso l’orizzonte ha dimesso in gran parte la sua luminosità giallognola… insomma, si capisce dalle qualità dei cromatismi che un giorno di grande bellezza ormai volge al termine…
… dopo avere scattato quest’ultima foto, ho volto le spalle al grandioso paesaggio di campagne innevate per accingermi a compiere l’ultima parte della mia fatica… nel frattempo il Gianfranco Gozzi mi ha superato e così anche Togni… ho la sensazione di essere proprio l’ultimo della fila… vado avanti faticosamente … per quanto io sia ancora dentro il tempo massimo, tuttavia appena entro nella periferia di Reggio mi rendo conto che gli incroci non sono più presidiati… ma la mia fortuna è che mi si affianca uno dell’organizzazione a cavallo di una bici che mi da preziose informazioni su di un bivio per me più dubbio… poi, entrati più decisamente dentro la città, gli incroci sono di nuovo presidiati e riesco a procedere bene… lento, ma sicuro … sono ormai dentro il centro storico … arrivo alla via fiancheggiata dai portici che – per quello che ricordo dalle volte precedenti – va a sboccare direttamente nella piazza dove è collocato l’arco gonfiabile che fa da traguardo … a questo punto, giusto per arrivare dignitosamente, arrotondo il passo e accelero l’andatura… è così che si fa al traguardo: chiudere sempre con un’andatura stenica, come se si fosse del tutto freschi e riposati…
Riesco a chiudere la distanza cinque minuti prima dello scadere del tempo massimo… (quindi in 5h24’ circa)
[Ero già diventato piuttosto lento...ma ancora non tanto da essere "ultimo degli ultimi"]
Ma, mentre mi allontano, guardando soddisfatto la mia medaglia (quella di Reggio Emilia è sempre un trofeo molto ambito, perché è una medaglia “personalizzata”: nella serie in corso ogni medaglia porta in rilievo la raffigurazione di uno dei principali monumenti di Reggio), scopro con un brivido di piacere (in fondo, perchè negarlo?) di non essere l’ultimo per questa volta: infatti, dall’altoparlante la voce dello speaker della manifestazione tuona per annunciare l’arrivo di Togni, il maratoneta italiano con il maggiore numero di maratone al suo attivo…
A sentir questo, sono alquanto sorpreso perché ero convinto fermamente del fatto che Togni mi avesse superato e che mi precedesse, per quanto di poco, e che quindi fosse già arrivato, sia pure poco prima … e invece spunta che era dietro di me … rimango decisamente perplesso… poi in seguito, qualche tempo dopo ho – da uno scambio e-mail con Gianfranco Gozzi – ho appreso che Togni, lo stesso Gozzi e alcuni altri avevano sbagliato strada (in corrispondenza di uno degli incroci non presidiati, che io ero riuscito a superare felicemente) e che, solo dopo aver percorso quasi un chilometro, lungo la strada sbagliata, si erano resi conto dell’errore ed erano tornati sui propri passi… intanto io, ignaro di tutto, ero passato davanti a loro… mi è dispiaciuto per loro, avrebbero comunque meritato di arrivare prima di me… noi maratoneti lenti, slow runner, non ci facciamo guerre tra poveri…
E comunque sia sono arrivato alla fine della mia centesima prova sulla lunga distanza…
Il ritorno
Il ritorno è una specie d’odissea: dopo avere mangiato alla solita mensa universitaria, con calma – un po’ dolorante – sono andato alla stazione e ho preso il treno per Bologna.
Qui alla stazione c’è di nuovo l’immersione nel bagno di folla vociante del Motorshow che mi provoca violenti conati di vomito mentale… finalmente riesco a salire sull’aerobus … dopo aver mandato una serie di messaggini sull’abbrutimento delle masse dedite soltanto a idolatrare scatole di metallo semoventi, mi ritrovo impegnato in un’accalorata conversazione telefonica, nel corso della quale racconto al mio interlocutore alcune delle cose che ho visto in questi giorni … parlo anche della meraviglia della statua di Botero … la menzione di Botero suscita molto curiosità in due passeggere dell’autobus … tanto che, dopo la fine della telefonata, mi chiedono di Botero e dove abbia visto una sua statua e così devo profondermi in lunghe spiegazioni su Pietrasanta e sui motivi della presenza di quest’opera di Botero in questo piccolo centro…Le due passeggere dell’autobus le reincontrerò in seguito, perché – come scoprirò dopo – anche loro sono dirette a Palermo…
In aeroporto l’attesa è lunga … arrivano molti altri passeggeri diretti a Palermo: tra di questi, un gruppo di architetti dell’Università reduci da un loro convegno, alcuni giovani neo-laureati e “dottorandi”, altri alquanto attempati … ad un certo punto, noto tra di essi una certa agitazione … sono entrati tutti in uno stato di eretismo psichico… parlottano tra loro, allungando il collo … Mi giro, guardandomi attorno, per cercare di capire cosa stia tanto attizzando la loro attenzione … dietro la fila di poltrone da noi occupate, io e gli architetti, è seduta con lunghissime gambe accavallate e fasciate in jeans elasticizzati, una tizia dello spettacolo ( di cui mentre scrivo non ricordo affatto il nome, benché sia, ovviamente, molto nota): è la tipa con i grandi labbroni siliconati, che compare frequentemente come il prezzemolo nei più svariati talk-show per dispensare al pubblico televisivo le sue opinabili pillole di saggezza [Poi qualcuno, ascoltando la lettura di questo passaggio, mi ha detto: “Ma si trattava della Valeria Marini!”… ma poi da un consulto successivo con un’altra persona esperta in personaggi mediatici, abbiamo stabilito sulla base dell’elemento delle “lunghissime” gambe che poteva trattarsi soltanto dell’Alba Parietti nazionale…] Insomma, tutti si agitano per il fatto di aver davanti in carne ed ossa, pienamente tangibile, il grande personaggio mediatico. Si capisce bene che tutti gli architetti reduci dal loro convegno, pur ostentando indifferenza, vorrebbero avvicinarsi, protendersi, toccare… alla fine, alcuni fanno il grande salto e vanno verso la tipa in questione “…per chiedere l’autografo” ( …scusa, questa, sempre più che valida), un altro con telecamera riprende qualche sequenza, approfittando dell’occasione per carpire qualche primo piano… la tizia dopo un po’ si allontana accompagnata da una sorta di imponente body-guard, lasciando dietro di sé strascichi di eccitazione che si spengono lentamente, per riaccendersi alla visione, nel display della handycam, delle immagini carpite poco prima…
L’attesa si protrae… un po’ leggo… un po’ dormo… sonnecchio… scivolo in uno stato di sopore e poi mi riscuoto … mi sento così stanco che, non fosse per la decenza, mi butterei sul pavimento a dormire… poi, quando riacquisto qualche sprazzo di lucidità, faccio alcune telefonate…
Finalmente – e ancora non siamo molto in ritardo – chiamano l’imbarco… ma una volta saliti a bordo, l’aereo indugia per problemi tecnici… siamo tutti stipati a bordo, e nulla ci viene comunicato di questo ritardo … come se fossimo virtualmente sequestrati…
… poi, finalmente, sono chiusi i portelloni e inizia il rullaggio per il decollo…
Solo a questo punto arrivano le tardive scuse del comandante… e, infine (sospiro di sollievo: wow!!!), le ruote si staccano da terra …
Il volo procede magnificamente … si recupera il tempo perduto … siamo in prossimità di Palermo addirittura in anticipo rispetto all’orario previsto per l’arrivo… siamo quasi sul punto di avviare le procedure dell’atterraggio … a questo punto l’annuncio, come una doccia fredda: “A causa delle avverse condizioni atmosferiche dobbiamo tentare l’atterraggio su Trapani oppure su Catania…” La speranza di scendere su Trapani si esaurisce nel giro di pochi istanti… niente da fare… analoghe difficoltà “avverse condizioni di tempo”… ci dirigiamo su Catania … ma una brutta sorpresa ci attende… non si può atterrare perché l’aeroporto è overloaded, a causa di tutti gli aerei che già vi sono stati dirottati da Palermo…Rimane un’ultima possibilità: l’aereo si dirige verso Reggio Calabria dove atterremo… i viaggiatori reduci dal Motorshow esibiscono in questo frangente le loro migliori performance prese di peso dal trattato di monsignor Della Casa… in siciliano stretto, esprimendo il proprio fastidio e lo loro proteste in modi assai virulenti…
L’aeroporto di Reggio C. pare l’avamposto sperduto di un paese africano… affollato di “buzzurri” e “tascioni”, con attrezzature antiquate e assolutamente fatiscenti… l’attesa per ottenere i bagagli è interminabile … le valigie emergono dal sottosuolo su di un traballante nastro trasportatore… poi per un po’ siamo letteralmente abbandonati a noi stessi … finché quasi per caso si viene a scoprire che fuori dall’aerostazione sono già pronti dei bus per il trasporto sino a Palermo… i soliti buzzurri protestano e fanno la voce grossa perché vorrebbero pernottare a spese dell’Alitalia e poi domani fare il viaggio sino a Palermo via a Roma con l’aereo … c’è quasi una lite su questo contenzioso… me ne disinteresso e vado a sistemarmi su uno degli autobus … dove riesco a sedermi in prima fila…
Finalmente molto dopo mezzanotte c’incamminiamo…
La partenza degli autobus lenta e stentata, ma si perde tempo … cose da terzo mondo, per non dire quarto… si ha la sensazione di essere nel Sud del Sud d’Italia … c’è ovviamente da attraversare lo Stretto di Messina… verso la civiltà … si fa per dire!… …sarà un lungo viaggio….
Traghetto sullo stretto di Messina, semi-deserto data la tarda ora…
Sul traghetto, riesumando un’antica tradizione, da anni ormai non praticata più, ingurgito un’arancina con carne e bevo dell’acqua minerale…
Poi di nuovo su bus, in un viaggio scomodo con una continua oscillazione tra sonno e veglia…
Non posso scendere a Palermo, come molti fanno al passaggio … ma per forza devo arrivare a Punta Raisi, perché là ho da recuperare l’auto che è rimasta posteggiata lì …
Insomma sono a casa attorno alle 05.00 … è stata una lunghissima giornata… subito, mi metto a letto sperando in un breve sonno di recupero… prima di alzarmi per cominciare la mia giornata lavorativa!
Questo viaggio sia all'andata che al ritorno è stato davvero all’insegna della fatica!
Palermo, Dicembre 2001 – Giugno 2002
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