Queste riflessioni le scrissi alcuni anni fa, dopo avere vissuto l'esperienza da fotografo di un'Ultra nascente che fu la 100 km Madrid-Segovia, lungo l'antico percorso che da Madrid partiva per raggiungere El Camino del Norte per Santiago de Compostela.
Quel tratto di percorso prescelto per la 100 km coincideva anche con il tracciato di un'antica via "pecoaria" usata tradizionalmente per la transumanxa delle greggi.
Questa gara si svolse nell'ottobre del 2010, mentre il mio scritto venne pubblicato su FB il 2 novembre successivo.
(Maurizio Crispi) Nella nostra vita ci sono traiettorie che s'incrociano e che, a volte, si affiancano per poi divergere.
Correre le maratone e le ultra espone un po' a questo tipo di esperienza.
Ci si ritrova tutti assieme su di un campo di gara, a volte in poche decine, a volte in centinaia o a migliaia.
Si respira tutti quanti allo stesso ritmo, i cuori battono all'unisono in un'emozionante esperienza di condivisione.
Ognuno poi inizia a percorrere la strada data, intento alla conquista del proprio personale traguardo.
Nel corso della via - come del resto accade nei pellegrinaggi devozionali, che siano religiosi o laici - ci si affianca a qualcuno che va al nostro stesso passo e ci si procede accanto per un tempo più o meno lungo, con un passo più o meno sincronizzato.
L'esperienza interiore della condivisione si fa, in questi casi, ancora più forte ed intensa.
A volte con il nostro compagno di cammino si parla, a volte no. Magari prevalgono i momenti di silenzio, ma le menti sono sincronizzate nel vissto di un'esperienza condivisa, nella quale si travasano ricordi, gioie, dolori, speranze e aspettative.
Quando ci si ritrova a procedere affiancati, la nostra mente inevitabilmente fantastica sul nostro compagno di via.
Poi, il passo di uno prevale su quell'altro, oppure uno dei due viene risucchiato indietro a causa della stanchezza o d'un improvviso malessere, mentre l'altro continua ad andare avanti cavalcando la freccia del tempo, al suo ritmo cadenzato come un metronomo.
Quei destini che un attimo prima si erano incrociati, si disincrociano, divergendo, oppure uno va avanti e l'altro rimane indietro.
Forse, con quella particolare persona con la quale si erano pure divisi intensamente dei momenti interminabili e densi (anche senza dover parlare) non ci si incontrerà più per il resto della nostra vita, per quanto si continuino a percorrere senza sosta le vie del mondo.
Eppure, in noi, una traccia - una scintilla - di quell'incontro permarrà a lungo.
Tra i miei cimeli di maratona e di gare cui ho partecipato c'è una foto di grande formato (incorniciata e appesa al muro) scattata all'uscita del Queesborough Bridge (al 25° chilometro della maratona di New York, in occasione di quella che fu la mia seconda esperienza di partecipazione alla maratona della Grande Mela).
Io sono in mezzo a tanti altri e sembra che arranchi di buona lena.
Questa massa di corpi affiancati mi appare come un fiume che scorre impetuoso
Ci sono accanto a me alcuni anziani, altri più giovani, uomini, donne: siamo tutti intenti in un'esperienza condivisa - compagni di viaggio - tutti con lo sguardo rivolto lontano verso la fine della nostra strada, ma ancora il traguardo è ben distante ed è meglio non pensarci (ricordo qui che il transito sul Queensborough Bridge cade attorno al 25° km della Maratona).
La guardo spesso pensosamente, questa foto, e mi chiedo: Che fine avranno fatto queste persone? Sono ancora vive? Sono morte e se la risposta è sì, come? Quali destini avrà riservato loro la vita?
Tutte domande alle quali non posso, purtroppo, dare risposte.
Perchè so soltanto di me.
Non di altri.
Il destino ha voluto che in quel particolare momento e in quel luogo noi fossimo lì tutti assieme in un'esperienza condivisa, in un'irripetibile unità di intenti, desideri ed azione.
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