Si è svolta tra il 30 novembre e il 1° dicembre 2013, a Palermo, nell'impianto di atletica "Vito Schifani", la 9^ edizione della 24 ore del Sole, con abbinata una 12 ore, entrambe le gare valevoli come Campionato italiano IUTA 2013 delle specialità 12 e 24 ore su pista.
Alla 12 ore che si è svolta interamente il giorno 1° dicembre (essendo la sua partenza fissata allo scoccare della mezzanotte del 30 novembre) la nostra Elena Cifali che alla fine della sua fatica è risultata la prima donna, conquistando il titolo di Campionessa italiana IUTA su ore su Pista 2013.
Le circostanze della partecipazione di Elena sono state particolari, poichè poche ore prima della partenza, mentre si accingeva a partire da Nicolosi, ha appresa la tragica e dolorosa notizia della morte dell'amata nonna Giuseppa.
Con una decisione molto travagliata e non essendoci molto che potesse fare nell'immediato, Elena ha deciso egualmente di partecipare alla gara.
Questa sua partecipazione ha avuto una connotazione particolare: è stata infatti una gara "con dedica", interamente dedicata al pensiero della nonna.
In fondo Elena, correndo la sua gara, ha fatto ciò che la nonna avrebbe voluto. C'era un rapporto speciale tra Elena e la nonna che apprezzava in modo speciale ciò che Elena faceva e soprattutto la lodava per le sue corse e per questa sua passione che alcuni potrebbero ritenere fuori dall'ordinario. E, alla nonna, Elena raccontava sempre le sue nuove imprese.
E viva, e il suon di lei.
Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare. …
(Elena Cifali) Sono affaccendata nel preparare il mio zaino con tutto ciò che servirà per correre la 12 Ore del Sole di questa notte.
Sento squillare il telefono di casa, è strano, è ancora mattino presto e nessuno mi chiama a quest’ora del giorno.
Alzo la cornetta, solo poche parole pronunciate da una voce tremante, poi il silenzio.
Poso il telefono e mi siedo sul divano.
La testa fra le mani e le lacrime che scendono.
Nonna è morta.
Tutto quello che stavo facendo, tutti i miei progetti, tutto il mio passato, il mio presente ed il mio futuro cambiano colore.
Tutto diventa nero, il colore del lutto.
Non saprei dire quanto tempo sono rimasta in quella posizione, seduta sul divano.
Ogni essere umano ha un rapporto diverso con i grandi dolori. Alcuni urlano e si disperano, altri lo sopportano con muta rassegnazione, solo alcuni corrono.
E’ l’ultimo sabato di novembre e mia nonna, la donna che per anni mi ha cresciuta trasmettendomi tutto il suo sapere e tutta la sua forza con affetto ed amore smisurato è morta.
Ho già deciso: correrò la 12 ore per lei e con lei.
Sono sicura che lei vorrebbe questo.
La giornata è piovosa e, quando io Salvo, Giuseppe, Enzo e Eleonora arriviamo a Palermo, è già buio, nonostante sia ancora pomeriggio presto.
Dopo una lauta cena facciamo il nostro ingresso allo Stadio delle Palme.
La pista mi dona sempre molta serenità con il suo colore arancio, reso più scuro dalla pioggia battente. Sento freddo e l’umidità mi entra nelle ossa, decido di indossare un abbigliamento termico per affrontare le prime ore di gara, che poi saranno quelle notturne.
Il rituale pre-gara è sempre identico: ritiro pettorale, foto di gruppo, spunta degli atleti, sistemazione sulla linea di partenza e via.
Fin dai primi giri mi rendo conto che questa sarà una lunghissima notte.
Io ed Enzo ci organizziamo e attuiamo una strategia che si rivelerà molto utile per molti chilometri, fino a coprire la distanza della maratona.
Corriamo vicini, senza mai allontanarci l’uno dall’altra, a turno prima lui e poi io “tiriamo” l’altro.
Chi sta davanti imposta il ritmo ed ha il compito di non accelerare e di no rallentare, in questo modo chi sta dietro deve solo seguire il compagno, senza preoccuparsi del tempo e dell’andatura.
E’ un ottimo modo per “riposarsi”.
Osserviamo gli stessi riposi e mangiamo negli stessi momenti, questa tecnica ci consente di non stancarci eccessivamente.
Il gioco funziona perfettamente, finchè io non inizio ad accusare un po’ di stanchezza.
Ho freddo e sonno, ho superato i 42 km e preferisco lasciare andare via Enzo.
Il mio “riposo attivo” mi consentirà di risparmiare preziose energie che mi serviranno non appena farà giorno.
Allo scadere della sesta ora, ho l’unico momento di smarrimento serio.
Ho troppo freddo e sono bagnata fradicia. La pioggia scorre fuori e dentro me. Ci si può impazzire su quell’ovale per dodici ore consecutivamente.
Conto i passi, uno… due… tre… cento… cinquecento… mille…
La pioggia è torrenziale, la pista completamente allagata e l’acqua delle pozzanghere ad ogni passo inonda le mie scarpe, mi specchio in quelle pozze d’acqua e stento a riconoscermi.
Non un sorriso, non un momento di vera gioia, solo triste rassegnazione.
Piango. Le lacrime e la pioggia solcano il mio viso provocando rughe profonde come ferite.
Attorno a me un sovrumano silenzio.
La notte è nerissima e le mie elementari movenze, sempre le stesse, per ore ed ore vengono interrotte solo dalle soste ai gazebo dei ristori.
Inizia qualcosa di interiore, la mente viaggia nei ricordi e con tanta nostalgia fa il conto degli anni vissuti. I rimorsi si mescolano ai rimpianti, finchè non sento una strana dolcezza ed un’infinita tenerezza nascere dentro di me.
Decido di cambiarmi completamente per la seconda volta: e quegli indumenti asciutti e caldi alleviano quel senso di vuoto che mi angosciava, riprendo a correre e finalmente ritrovo la serenità.
Sento, percepisco o forse semplicemente immagino la presenza di nonna.
Lei era la mia tifosa più accanita: ogni sera, quando la chiamavo mi chiedeva se avessi corso e si informava su quale gara avrei fatto la domenica successiva.
Mi ripeteva che ero la numero uno ed io glielo lasciavo credere.
Che senso avrebbe avuto deluderla? Ed è proprio questo che non voglio fare stanotte: deluderla.
E’ quasi l’alba, il chiarore del giorno scalza la notte e finalmente vedo la massa di Monte Pellegrino davanti a me.
E’ una visione bellissima quella roccia così imponente, fiera e maestosa.
Sono passate sette ore dal momento del via e adesso la mia corsa è tornata fluida e leggera. Mi sento bene, sono in pace con me stessa e con la pista, faccio qualche giro più veloce e mi accorgo che Nerino Paoletti (il vincitore di questa edizione) mi sta dietro e si sta facendo trascinare dalla mia scia.
Alcuni km corsi avanti a lui mi fanno pensare che forse nonna aveva ragione: sono la numero uno.
Mi fermo a controllare la mia posizione, giri e distanza coperti fino a questo momento, scoprendo di essere la prima in classifica fra le donne che stanno partecipando alla 12 ore.
Bene, adesso che ne ho coscienza lotterò fino alla fine per mantenere salda la mia posizione.
Niente e nessuno potrà fermarmi adesso, non lo ha fatto il terribile dispiacere, non lo ha fatto la nera notte, non lo ha fatto la pioggia battente, non il freddo pungente e certamente non lo farà la stanchezza che dopo dieci ore di gara si fa presente viva più che mai.
La luce del giorno dona i colori a tutto il mondo circostante.
Vedo il grigio del cielo, l’arancio della pista, le giacche colorate dei miei amici ed i loro visi colmi di stanchezza, visi che raccontano di una notte che sembra uscita da un girone dell’inferno di Dante.
Le ultime due ore sono quasi del tutto camminate per la stragrande maggioranza dei partecipanti. Scambio chiacchiere con i miei compagni di viaggio, mi informo sulle loro condizioni, incoraggio Eleonora a correre qualche centinaio di metri insieme a me.
Chiedo a Salvo della sua caviglia e ad Enzo del suo ginocchio, tutti, chi più chi meno, dopo così tante ore di gara e con condizioni meteo proibitive hanno dei problemi.
Mi accorgo che le mie scarpe si tingono di rosso, le dita dei piedi stanno sanguinando vistosamente, faccio un altro cambio completo. I piedi sono fradici, il loro volume è pressocchè raddoppiato e la pelle è gonfia d’acqua come quando si sta troppe ore dentro la vasca da bagno. Cambio le calze nella speranza che il bruciore mi passi ma la speranza è vana. Soffro terribilmente, ho come l’impressione d’avere due carboni ardenti al posto dei piedi.
Sopraggiunge anche il mal di schiena e il dolore alle anche. Mi ripeto che devo tenere duro, mentre continuo a sentire la Sua presenza accanto a me. Colei che mi ha insegnato a camminare, a leggere, a scrivere, che ha lavato il mio viso di bimba, asciugato le mie lacrime e curato le mie febbri è vicina a me: la sento e questa convinzione è l’unica forza che mi fa ancora mettere un piede avanti all’altro.
80, 81, 82, 83 km.
Perfetto, ho appena superato la distanza che avevo coperto lo scorso anno e, da adesso, ogni metri in più sarà una nuova conquista.
La fatica dell’ultima ora è stata alleviata dalla presenza di Mario che mi ha dato l’input giusto per riprendere a correre, da Giovanni che con mosse sapienti mi ha distratta dal dolore e da Vincenzo che mi ha assistita porgendomi cibo ed acqua.
Perché ho corso per 12 ore dentro questa pista? Perché è l’unico modo che conosco per fare il mio viaggio interiore. Un viaggio mano nella mano con la nonna che ho tanto amato.
E’ stato l’unico giusto modo per darle il mio addio e per permetterle di starmi vicina ancora un’ultima volta.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura.
E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
I nonni di Eelena, assieme
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