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2 novembre 2023 4 02 /11 /novembre /2023 07:04

Queste riflessioni le scrissi alcuni anni fa, dopo avere vissuto l'esperienza da fotografo di un'Ultra nascente che fu la 100 km Madrid-Segovia, lungo l'antico percorso che da Madrid partiva per raggiungere El Camino del Norte per Santiago de Compostela.
Quel tratto di percorso prescelto per la 100 km coincideva anche con il tracciato di un'antica via "pecoaria" usata tradizionalmente per la transumanxa delle greggi.

Questa gara si svolse nell'ottobre del 2010, mentre il mio scritto venne pubblicato su FB il 2 novembre successivo.

Maurizio Crispi

100 km Madrid Segovia 2010 (foto di Maurizio Crispi)

 

(Maurizio Crispi)  Nella nostra vita ci sono traiettorie che s'incrociano e che, a volte, si affiancano per poi divergere.

Correre le maratone e le ultra espone un po' a questo tipo di esperienza.

Ci si ritrova tutti assieme su di un campo di gara, a volte in poche decine, a volte in centinaia o a migliaia.

Si respira tutti quanti allo stesso ritmo, i cuori battono all'unisono in un'emozionante esperienza di condivisione.

Ognuno poi inizia a percorrere la strada data, intento alla conquista del proprio personale traguardo.

Nel  corso della via - come del resto accade nei pellegrinaggi devozionali, che siano religiosi o laici - ci si  affianca a qualcuno che va al nostro stesso passo e ci si procede accanto  per un tempo più o meno lungo, con un passo più o meno sincronizzato.

L'esperienza interiore della condivisione si fa, in questi casi, ancora più forte ed intensa.

A volte con il nostro compagno di cammino si parla, a volte no. Magari prevalgono i momenti di silenzio, ma le menti sono sincronizzate nel vissto di un'esperienza condivisa, nella quale si travasano ricordi, gioie, dolori, speranze e aspettative.

Quando ci si ritrova a procedere affiancati, la nostra mente inevitabilmente fantastica sul nostro compagno di via.

Poi,  il passo di uno prevale su quell'altro, oppure uno dei due viene risucchiato indietro a causa della stanchezza o d'un improvviso  malessere, mentre  l'altro continua ad andare avanti cavalcando la  freccia del tempo, al suo ritmo cadenzato come un metronomo.

Quei destini  che un attimo prima si erano incrociati, si disincrociano,  divergendo, oppure uno va avanti e l'altro rimane indietro.

Forse, con quella particolare  persona con la quale si erano  pure divisi intensamente dei momenti interminabili e densi (anche senza  dover parlare) non ci si incontrerà più per il resto della nostra vita,  per quanto si continuino a percorrere senza sosta le vie del  mondo.

Eppure, in noi, una traccia - una scintilla - di quell'incontro  permarrà a lungo.

Tra i miei cimeli di maratona e di gare cui ho partecipato c'è una foto di grande formato (incorniciata e appesa al  muro) scattata all'uscita del Queesborough Bridge (al 25° chilometro  della maratona di New York, in occasione di quella che fu la mia seconda  esperienza di partecipazione alla maratona della Grande Mela).

Io sono in mezzo a tanti altri e sembra che arranchi di buona lena.

Questa massa di corpi affiancati mi appare come un fiume che scorre impetuoso

Ci sono  accanto a me alcuni anziani, altri più giovani, uomini, donne: siamo tutti intenti in un'esperienza condivisa - compagni di viaggio - tutti  con lo sguardo rivolto lontano verso la fine della nostra strada, ma  ancora il traguardo è ben distante ed è meglio non pensarci (ricordo qui che il transito sul Queensborough Bridge cade attorno al 25° km della Maratona).

La guardo spesso pensosamente, questa foto, e mi chiedo: Che fine avranno fatto  queste persone? Sono ancora vive? Sono morte e se la risposta è sì, come? Quali destini avrà riservato loro la vita?

Tutte domande alle quali non posso, purtroppo, dare risposte.

Perchè so soltanto di me.

Non di  altri.

Il destino ha voluto che in quel particolare momento e in quel  luogo noi fossimo lì tutti assieme in un'esperienza condivisa, in  un'irripetibile unità di intenti, desideri ed azione.

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3 maggio 2021 1 03 /05 /maggio /2021 11:32
Montelupo Fiorentino (Foto di Paola Noris)

Tempo addietro, mi ritrovai a fare delle considerazioni sulla "corsa lenta" di lunga durata, in contrapposizione a quella più veloce pure nel caso delle ultra distanze , quella propria dei podisti amatori più raffinati (o più fanatici, a seconda di come si guarda alla cosa).

Naturalmente, sentii l'esigenza di forgiare queste mie osservazioni, quando per mancanza di allenamento "serio" e di diuturne applicazioni di sofferenza, ero ormai divenuto senza poter contrapporre alcuna dissimulazione al fatto un podista lento, assumendo l'identità di "tapascione" seconda l'espressione (non felice) in voga tra i runner più brillanti.

Ma dal fatto di essere divenuto un podista "lento" traevo molto piacere, in verità. La lentezza della mia corsa mi dava modo di scoprire delle cose.

Vennero fuori delle osservazioni tutt'altro che banali, devo dire, molto affini peraltro a quelle relative al "camminare lento": del resto, quando si scende al di sotto di certi ritmi di corsa, la differenza tra corsa lenta e camminata veloce si fa sempre più sfumata, sino a scomparire quando si appiattisce del tutto il tempo di volo.

L'articolo venne inizialmente pubblicato su podisti.net, testata giornalistica online con la quale a suo tempo collaboravo.  Ma continuai a lavorarci ancora ed ancora, sino a trasformarlo in un piccolo saggio, con tanto di note di riferimenti bibliografici. 
Non so, per quali via quel testo - più approfondito - giunse ad un sito web che pubblicava articoli sul "camminare profondo".

Lì il mio saggio rimase incluso per lungo tempo. Di recente avrei voluto riprenderlo per linkarlo a qualcuno interessato alla sua lettura, ma ho scoperto che purtroppo, pur essendo ancora di esso il titolo, non era più possibile l'accesso al file in .pdf.

Ho sentito così l'esigenza di riprenderlo e di darne visibilità su questo magazine. 
Ma poiché è di grande ampiezza e con una formattazione che sarebbe un peccato perdere, ivi incluse le note, ho pensato di pubblicarne qui soltanto l'incipit e includere in calce il file in pdf, in modo che chiunque avesse voglia, lo possa leggere nella sua interezza.

Quando corriamo, siamo in una condizione ideale per osservare il mondo che ci circonda.
Mi spiego meglio.
Viviamo in un mondo che tende alla velocizzazione sempre più estrema.
Si valorizzano sempre di più il movimento, la velocità di esecuzione del gesto, il livello performativo, talvolta in modo così estremo che non vi è più la possibilità di capire cosa sta accadendo. 
In alcuni casi ciò dipende dal fatto che nella rappresentazione mediatica della realtà vi è sempre più massiccia la tendenza a copiare i videogiochi.
Prendete il caso dei moderni film di azione: colonne sonore sparatissime, sequenze di azioni turbinose amplificate da un uso magistrale degli effetti speciali e di azioni mirabolanti messe in scena dagli stuntman. A volte l'azione è così veloce che non si capisce affatto che cosa stia accadendo; tra rumori convulsi, tonfi, botti e turbini di movimento non si riesce più a cogliere il singolo dettaglio dell'azione, se non avere la percezione confusa che sia accaduto qualcosa.
La stessa cosa succede quando ci spostiamo in treno o in automobile: velocità sempre più estreme, riduzione dei tempi di percorrenza, lo spostamento da un luogo ad un altro si riduce alla lettura e registrazione di mere cifre: il tempo necessario, misurabile in ore, minuti, secondi, per percorrere una determinata distanza, gli importi chilometrici realizzati nello spostamento. 
Ma, a volte, non ci preoccupa nemmeno di questi aspetti. Si vive lo spostamento in maniera inconsapevole, a volte esprimendo paradossalmente lamentele circa il fatto che sia avvenuto in maniera poco veloce… 
La velocità spesso non consente più di "guardare" cosa c'è fuori di noi, precludendo ai diversi elementi della realtà esterna l’ingresso nel nostro campo percettivo, se non in maniera confusa e turbinante, labili tracce imperfette dai contorni sfumati ed indistinti. 
E  spesso, anche quando non si è immersi in un’azione veloce, si cerca comunque un surrogato della velocità: basti pensare a quelli che, per correre, hanno l’assoluta necessità della musica nelle orecchie, sostituendo così al ritmo del proprio corpo quello veloce dispensato dal walkman.
Quanto maggiore è la velocità dello spostamento, tanto più siamo spinti a rinunciare a costruire nella nostra mente un'immagine della realtà che abbiamo attraversato, che sia ricca di dettagli e di elementi cromatici.

 

Per proseguire la lettura scarica il file in pdf, qui allegato.

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9 novembre 2019 6 09 /11 /novembre /2019 06:41
(foto tratta da un profilo social FB)

(foto tratta da un profilo social FB)

Ho carpito l'immagine di copertina da un profilo social.

Non appena l'ho vista mi ha immediatamente colpito con forza, perla sua pregnanza iconica e poetica allo stesso tempo.

Cosa ci dice l'immagine?

E' molto semplice, essenziale quasi.

Un adulto e un bambino camminano tenendosi per mano nel bel mezzo di un paesaggio desolato.

Sono intenti nel cammino.
Il guardarli, così, a volo d'uccello fa sembrare entrambe le figurette minute e fragili nell'immensità e nell'asprezza del territorio circostante,una Natura che sembra essere ostile ed impervia.

La strada che seguono sembrerebbe perdersi nel cuore profondo della desolazione: e, benchè non si possa vedere cosa vi sia al di là del dosso, viene facile immaginare che proceda all'infinito.

Dove vanno? Da dove vengono?

Sembrano essere attrezzati per un lungo cammino...

Si staranno raccontando storie mentre procedono, oppure se ne stanno in silenzio, assorti?

Tante domande e, partendo da ciascuna, si può tessere una storia diversa.

Mi piace immaginare che siano diretti verso una radiosa aurora e che presto, per loro, i grigi, i neri e i rossi cupi del terreno che li circonda possano cedere il passo ad una natura ubertosa e fertile. E che il loro andare possa giungere ad una sosta, quanto meno temporanea.

Il cammino è una metafora potente della vita.

Questa foto mi ha ricordato con prepotenza la canzone di Guccini "Il vecchio e il bambino", ma anche il tragico romanzo post-apocalittico di Cormac McCarthy, La strada (e il film crudo che ne è stato tratto), ma anche - giusto per sollecitare delle immagini meno cupe, seppur malinconiche - la sequenza finale di Il Monello di Charlie Chaplin.

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18 ottobre 2019 5 18 /10 /ottobre /2019 09:52

Un poster realizzato in una scuola d'infanzia.
Una lodevole iniziativa che cerca di far germogliare nei più piccini la voglia di camminare in contesti naturali.
A ben guardare c'è dentro tutta la filosofia del camminare e vi si ritrovano perfino i germi del camminare profondo

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28 maggio 2019 2 28 /05 /maggio /2019 07:13
Franco Michieli, L'estasi della corsa selvaggia.  Piccoli voli a corpo libero dalla terra al sogno, Ediciclo Editore (Collana Piccola filosofia di viaggio), 2017

Franco Michieli, nel suo L'estasi della corsa selvaggia. Piccoli voli a corpo libero dalla terra al sogno, pubblicato nel 2017 da Ediciclo (Collana Piccola Filosofia di Viaggio), ci racconta della sua passione per per la "corsa selvaggia" e del suo specialissimo modo di interpretare la pratica della corsa in natura.

L'autore, prima di diventare un cultore del trekking di alto livello (nell'ambito della quale disciplina ha siglato alcune grandi imprese), ma anche delle lunghissime camminate a piedi in totale autonomia, ha praticato in gioventù la corsa competitiva, misurandosi - se ricordo bene - nella distanza dei 1500 metri. Poi, ha lasciato l'agonismo, ma non ha dimenticato la pratica della corsa che ha voluto sviluppare a misura delle sue esigenze e dei suoi ideali.
Proprio durante la naja, alla ricerca di stimoli che lo facessero sentire vivo e vitale e che gli procurassero soprattutto empiti di libertà, riesumò la pratica della corsa adolescenziale. Ma in una sua speciale versione, di cui riassumo qui alcune caratteristiche:
1. si trattava di corse in totale libertà, in solitudine, con lo scopo di raggiungere nel più breve tempo possibile (ma senza lo stress della gara e della competizione con altri) colli, alpeggi, cime montuose.
2. Le sue corse erano "a tempo" e quindi senza l'occasionale oziosità delle camminate outdoor in montagna: per tutto il servizio militare erano limitate dal tempo della libera uscita, una cui parte doveva essere impiegata per raggiungere in auto il punto di inizio della corsa nella location prescelta. Ma in ogni caso, benché un occhio all'orologio fosse necessario (soprattutto al tempo dei quelle sue prime esperienze) o possa comunque tornare utile, per mantenere un certo orientamento temporale, la corsa selvaggia esclude rigorosamente l'uso del cronometro. L'obiettivo non è siglare dei record, ma dimostrare - soprattutto a se stessi - che compiere una certa impresa è possibile.
3. Solo in seguito, una volta finito il servizio militare i suoi obiettivi poterono farsi ancora più ambiziosi, non avendo più la spada di Damocle del limite di tempo puntata addosso.
4. Pur andando in montagna, l'attrezzatura di Michieli era ridotta al minimo: totale libertà dunque.
5.Totale rifiuto della tipologia della Corsa in Montagna e dello Sky Running e delle loro estremizzazioni atturali, ma soprattutto delle imprese cronometriche.
Quella di Michieli si configurò subito, così egli descrive in questo piccolo e affascinante libro, come una corsa fuori da qualsiasi schema conosciuto, certamente non omologabile: ma egli precisa che non vuole imporre il suo Verbo a nessuno. Gli preme soltanto sottolineare che questo è il suo personale modo di intendere la corsa in natura. 
Una corsa che lui stesso ha definito "selvaggia" e tale da suscitare, per via di questa sua particolarissima configurazione, una condizione "estatica"della mente.
Successivamente Michieli ha avviato un'intenso attività di Trekking che ha raccontato in altri libri, ma - nel corso del tempo - ha mantenuto e affinato la pratica della corsa selvaggia.Questo scritto di Michieli si legge con molto interesse, sia perché si presenta in forma di diario molto personale, ma soprattutto perché - considerando il fanatismo che avviluppa il mondo della corsa in natura (sia da parte dei top runner sia da parte dell'esercito degli "amatori" - propone in fondo quello che è un sano antidoto ad ogni forma agonismo "malato" e "coatto": qui, infatti l'unico confronto è con se stesso e con il desiderio di raggiungere dei propri personali traguardi, vivendo al tempo stesso un vivificante rapporto con la natura.

Franco Michieli

(Quarta di copertina) La collana «Piccola filosofia di viaggio» ha invitato Franco Michieli, geografo ed esploratore, corridore in incognito, a raccontare la corsa selvaggia in natura: una pratica istintiva e poetica lontana da cronometri e competi/ione. 
Un'esperienza liberatrice, in empatia con animali e montagne, in cui il tempo pare dilatarsi e la distanza ridursi. L'estasi dell'immaginazione.

L'Autore. Franco Michieli classe 1962, geografo, residente nelle Alpi, scrittore e originale esploratore, è esperto nel campo delle lunghe traversate selvagge. Da ragazzo ha praticato l’atletica leggera, recuperata in forma nuova quando, costretto in caserma dal servizio militare, la corsa gli permise di salire e scendere decine di vette della Valle d’Aosta nelle brevi libere uscite serali. Da allora la corsa selvaggia fa parte della sua vita. Fra i suoi libri, “La vocazione di perdersi” (Ediciclo 2015), finalista al Premio Alvaro, ma anche il recente "Andare per silenzi", edito da Mondadori nel 2018

 

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9 novembre 2018 5 09 /11 /novembre /2018 09:17
Ti porto io

"Ti porto io" (titolo originale: "I'll Push You"), per la regia di Chris Karcher e Terry Parish (Spagna, USA, 2017)
E' un commovente film che racconta la storia vera di un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, lungo gli 8oo km che si dipanano nel Nord della Spagna a partire lungo il Camino Francés e Aragonés, compiuto da Patrick Gray e dall'amico Justin Skeesuck, quest'ultimo costretto a vivere su di una sedia a rotelle.
E il film non è soltanto la storia di un uomo "normalmente abile" che ne spinge uno "diversamente abile", costretto sulla sedia a rotelle, lungo gli 800 km del Cammino di Santiago, ma anche una toccante vicenda sul potere dell'amicizia e della comunità.

Tutto ha inizio quando Patrick accetta una proposta pazzesca: portare il suo migliore amico Justin, costretto a vivere su una sedia a rotelle, per tutti i famosi 800 chilometri del Cammino di Santiago.
Il risultato? Un film documentario, unico nel suo genere, che illustra la loro impresa, il loro pellegrinaggio, la solidarietà, l'amicizia. 
Negli ultimi anni, a partire da quello girato dagli Sheen padre e figlio, sono diventati numerosi. 
Ognuno di questi film, però, ha affrontato il tema da prospettive differenti. Nessuno però aveva raggiunto l'originalità di questo il cui titolo originale suona molto più efficace di quello italiano.
Il film viene portato in un tour italiano dalla Mescalito Film.
Si possono seguire gli eventi delle proiezioni nelle diverse città italiane sulla pagina facebook della Mescalito Film

A Palermo, il film verrà dato in visione presso la Sala Rouge et Noir, il 7 gennaio 2019, alle ore 20.30.

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7 giugno 2018 4 07 /06 /giugno /2018 09:06
Erling Kagge, Camminare. Un gesto sovversivo, Einaudi, 2018

Camminare è secondo Erling Klagge un gesto sovversivo e libertario  (e nel sostenere questo punto di vista egli si ispira ovviamente, molto, a Thoreau e al suo saggio sul camminare. Ed è un'affermazione autorevole la sua, dal momento che egli non è un camminatore comune, ma uno che, camminando, ha compiuto significative ed ineguagliate imprese.
Tuttavia, egli afferma, il gesto del camminare è identico sia che lo si affronti con un obiettivo ambizioso sia che lo si faccia come un'attività quotidiana, con finalità di fitness o anche da flaneur.
D'altra parte, come risulta dai diversi resoconti, sono molteplici le motivazioni che spingono centinaia di persone ogni anno a percorrere il Cammino di Santiago - tutte valide, peraltro, perchè in ciascuna motivazione individuale vi è contenuta una verità personale - ma alla fine è soltanto il camminare giornaliero con la mission di compiere quei 25-30 km a forgiare il camminatore e a tramutarlo in taluni casi in pellegrino.
Il camminare - come anche il correre lento - pone il soggetto in maniera ineludibile in contatto con il mondo al di fuori e nello stesso tempo con il proprio mondo interiore, allentando le barriere protettive, rende più permeabile l'interno e nello stesso consente l'emergere di istanze interiori dimenticate oppure ricoperte dalla spessa corazza della quotidianità.
Camminando si mettono tra parentesi le preoccupazioni quotidiane, oppure ci si ritrova a pensare creativamente, poichè gli stimoli esterni entrano in contatto con il Sè più intimo ed attivano forme di story telling e impreviste contaminazioni tra piani di coscienza differenti.

Il camminare quotidiano, secondo Kagge (con il supporto di studi scientifici che egli non manca di citare) sviluppa la creatività, facilitando gli individui nel trovare delle soluzioni a problemi da cui sono assillati o anche a metterli tra parentesi e potere così dedicarsi ad un'attività che, se effettuata con abbandono e dedizione, può servire a fare nella mente il vuoto e a creare la sospensione di memoria e desiderio (entrambe i fenomeni di per se stessi terapeutici).
Siamo fatti per camminare (o per correre) e l'Homo sapiens si è evolluto proprio svolgendo queste due fondamentali attività che rappresentano lo strumento fondamentale di presa di contatto e di dominio della realtà.
E camminare, come correre o anche l'andare in vbicicletta, sono tra le poche attività autenticamente "anarchiche": nel senso che per svolgerle non c'è da chiedere il permesso a nessuna istituzione, nè c'è alcuna tassa da pagare.

Dopo un volume di meditazione sul silenzio, Erling Kagge ci propone - con altrettanta incisività - un breviario di pensieri sul camminare, maturato e filtrato attraverso la sua peculiare esperienza di grande ed instancabilmente camminatore. Si tratta di Camminare. Un gesto sovversivo (nella traduzione di Sara Culeddu), pubblicato da Einaudi(Stile libero Extra) nel corso del 2018
 

Erling Kagge

(dalla quarta di copertina) Dall'autore del best seller mondiale Il silenzio, un gesto d'amore per il pianeta, un viatico per chi vuole accordare il corpo al ritmo dell'anima.
Camminare è diventato un gesto sovversivo. Non serve essere atleti professionisti, aver scalato l'Everest o raggiunto il Polo Nord, come Erling Kagge. La rivoluzione è alla portata di chiunque. Basta decidere di rinunciare a qualche comodità e spostarsi a piedi ogni volta che è possibile. Anche in città, anche nel quotidiano. Sottrarsi alla tirannia della velocità significa dilatare la meraviglia di ogni istante e restituire intensità alla vita. Chi cammina gode di migliore salute, ha una memoria piú efficiente, è piú creativo. Soprattutto, chi cammina sa far tesoro del silenzio e trasformare la piú semplice esperienza in un'avventura indimenticabile.
«Con un senso di stupore e meraviglia, Kagge vaga piú che narrare, muovendosi tra filosofia, scienza ed esperienza personale...È sempre bene ricordare le antiche verità. E Kagge sa come farlo». Los Angeles Review of Books
L'autore. Erling Kagge (Oslo, 1963) è stato il primo uomo a raggiungere il Polo Sud in solitaria e il primo a raggiungere i «tre poli»: il Polo Nord, il Polo Sud e una cima dell'Everest.
Per Einaudi ha pubblicato Il silenzio (2017), che è stato venduto in 35 Paesi, e quest'ultimo volume sul Camminare (2018).

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29 maggio 2018 2 29 /05 /maggio /2018 08:42
Con la terra sotto i piedi. Disponibile in libreria il nuovo libro di Andrea Bianchi sul camminare scalzi, che - nel suo pensiero e nella sua prassi - diventa sempre di più filosofia di vita

"Solo camminando a piedi nudi nella Natura è possibile contattare la nostra Anima, comprendendo che siamo in un luogo
in cui possiamo semplicemente restare, senza essere altro che noi stessi"

Andrea Bianchi

Andrea Bianchi, Con la Terra sotto i piedi, Mondadori, 2018

Esce in libreria proprio in questi giorni un nuovo libro di Andrea Bianchi, promotore della camminata a piedi scalzi e suo autentico filosofo.
Si tratta del volume "Con la Terra sotto i Piedi", edito da Mondadori questa volta nel 2018, quasi a sancire il passaggio da un'audience di nicchia ad un grande pubblico interessato.

Andrea Bianchi, come si coglie le sue due precedenti opere, è riuscito a collocare la pratica della camminata sclaza, non solo in natura, ma dovunque, in una dimensione filosofica, religiosa quasi, oltre che in quella meramente salutista e di ottimale rapporto con la Terra madre. Egli con garbo e pazienza è riuscito a svolgere un lavoro di grande rilevanza, costretto a fronteggiare pregiudizi e resistenze che chiunque può trovarsi a sperimentare se si mette di punto in bianco a camminare scalzo (pregiudizi di marca strettamente latina, più che nordeuropea, dove molto facilmente si lascia che i bambini vadano a casa scalzi ed anche outdoor dove le condizioni del terreno lo permettano).
Da leggere assieme al piccolo volume di  che è un autentico breviario di pensieri sul cammino consapevole e sulla meditazione camminata di Thich Nhat Hanh e alle riflessioni di Erling Kagger sul camminare e le sue mille declinazioni possibili.


(dal risguardo di copertina) Perché, e come, una camminata a piedi nudi negli spazi di un antico giardino, sulla neve e sulle rocce dolomitiche d’alta quota o lungo le alture riarse di un’isola della Grecia può farci tornare bambini, nuovamente in contatto con le energie primordiali di una Madre Terra a cui la nostra vita è intimamente connessa?

Andrea Bianchi ci aiuta a rispondere a questa domanda attraverso un viaggio nella Natura, ma anche verso le radici profonde della nostra Anima: levandoci le scarpe per togliere ogni possibile filtro al contatto con gli elementi naturali, ci troveremo su un percorso la cui traccia invisibile emerge un passo dopo l’altro. Un cammino lungo il quale si sviluppano l’attenzione mentale e l’equilibrio del corpo, il radicamento con la Terra e la capacità di volare lontano, “al di là dei confini del mondo”, come i trenta uccelli di cui narra la poesia mistica persiana.

Incontreremo così i temi più attuali dell’ecologia – la biofilia, l’amore innato dell’uomo per la vita – e gli insegnamenti spirituali della Filosofia perenne, e assisteremo al colloquio in una notte senza tempo con il centenario Spiro Dalla Porta Xydias, lo scrittore e alpinista cantore del “sentimento della vetta”. Giungeremo infine, a piedi nudi, nelle Terre Alte, al limitare del punto di ascolto perfetto, da cui si possono udire le vibrazioni più sottili di quell’armonia universale che ci fa sentire vivi.

Un viaggio e un racconto dopo il quale ripartirete subito alla ricerca del sentiero erboso più vicino per togliervi le scarpe, e camminare con la Terra sotto i piedi.

 

 

...sentivo da tempo che era giunto il momento di scrivere per andare lontano, fuori e dentro me stesso, e che il cammino a piedi nudi in natura poteva essere la base di partenza per questo nuovo viaggio.
È nato così un nuovo libro "Con la Terra sotto i piedi" (Mondadori), un viaggio a piedi nudi nella Natura, ma anche verso le radici profonde della nostra Anima.
Lo presenterò in anteprima a Trento, nell'ambito del Trento Film Festival, l'1 maggio ad ore 11.00: vi aspetto con grande emozione, anche per invitarvi a partecipare ai numerosi altri appuntamenti barefoot che mi vedranno impegnato al Festival!

Andrea Bianchi

E' per me un ritorno emozionante, dopo il Barefoot Day con la Cooperativa Sociale ITER che l'1 ottobre 2016 vide camminare a piedi nudi in questo parco secolare più di ottanta persone!
"Ritrovare il giardino è ritrovare noi stessi all’interno di uno spazio regolato secondo i princìpi dell’armonia uni- versale. È riscoprirsi microcosmo all’interno di un microco- smo più grande, a sua volta disegnato a immagine e somi- glianza del macrocosmo universo. Ma possiamo percepire il suono delle radici profonde del giardino solo praticando il silenzio: silenzio della voce, delle emozioni, della men- te. Camminando a piedi nudi nella natura ho scoperto che una delle vie più sicure per giungere al silenzio interiore è il silenzio dei passi."

(da Da "Con la Terra sotto i piedi" (Mondadori), Andrea Bianchi, pag. 56)

Andrea Bianchi - Libro ed esperienza barefoot nel parco di Villa de Probizer (Relais Mozart) 25 maggio, ore 18.00 - Rovereto, via Cittadella 41

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1 aprile 2018 7 01 /04 /aprile /2018 10:12

L'ultima luce del giorno, quella che allunga le ombre sulla polvere, è la più preziosa. La sola a svelarti il mistero del camminare, a dare un senso a quell'istinto ottimista e avventuriero di appoggiare un piede davanti all'altro per scoprire cosa ci sarà oltre quel ponte, quelle case, quella collina.

Riccardo Finelli

Riccardo Finelli, Il cammino dell'acqua. A piedi da Milano a Roma lungo il corso dimenticato dei fiumi, Sperling&Kupfer, 2017

Riccardo Finelli, giornalista e scrittore modenese, ha cominciato raccontare dei suoi cammini nel 2012, quando pubblicò “Coi binari fra le nuvole” (Neo), in cui narrava il suo cammino lungo la ferrovia dismessa che collega Sulmona a Carpinone, la Transiberiana d’Italia. nel 2016 invece ci ha raccontato il suo Cammino di Santiago in “Destinazione Santiago”. (Sperling&Kupfer).

Pochi mesi fa è uscito invece “Il cammino dell'acqua. A piedi da Milano a Roma lungo il corso dimenticato dei fiumi” (Sperling&Kupfer, 2017), che contiene il racconto del cammino di Finelli camminò da Milano a Roma non percorrendo la Francigena o altri cammini noti, ma un itinerario personale, da lui studiato, cioè seguendo i corsi dei fiumi, in un viaggio a piedi di circa ottocentocinquanta chilometri.
Dal Naviglio al Ticino, poi il Po, e dove si aggancia il Trebbia, quindi via verso l’Appennino lungo questo fiume. Poi l’Aveto, il Penna, il Taro, il Verde, il Magra, il Lucido, il Serchio, l’Arno, l’Elsa fino a Siena, l’Arbia, l’Orcia e il Paglia, fino alla confluenza di questo con il Tevere. E gli ultimi chilometri in barca per entrare a Roma dall’acqua.
In Italia, i fiumi sono dimenticati, abbandonati, spesso torturati e violati, ma sono un mondo da scoprire. E Finelli vive belle scoperte, al tempo stesso incontrando sul suo cammino persone e storie da raccontare.
E il fatto che abbia inventato un cammino originale, in luoghi dove veder passare un camminatore era una sorpresa, gli ha consentito di vivere una esperienza senz’altro più ricca che non quella di camminare su un percorso in cui le persone del luogo si sono assuefatte ai viandanti.
La sua conclusione è interessante e vale la pena di citarla: “Mi sono convinto che non viaggiamo per raggiungere qualcuno o qualcosa, ma per soddisfare una pulsione primaria scolpita nei meandri del nostro DNA, come fosse il bisogno di bere o respirare. E ho cominciato a considerare gli abituali sogni a occhi aperti davanti a un atlante non solo come una mia personale fissazione, ma la naturale attitudine del pronipote di una stirpe quadrupede”.
In altri termini, attraverso queste parole emerge l'essere nomadi per bisogno ancestrale, e anche una sorta di diritto inalienabile a essere nomadi. (LG)
(dal risguardo di copertina) Cosa spinge un uomo a riempire uno zaino e percorrere a piedi quasi novecento chilometri da Milano a Roma? Sulle spalle l'essenziale, davanti nessun sentiero, nessun compagno, nessuna prenotazione, affidandosi all'antica leggerezza del viandante. Dopo anni di itinerari predefiniti, Riccardo Finelli ha deciso di uscire dalle strade battute e tracciare il proprio cammino, seguendo una via dimenticata: il corso dei fiumi, che un tempo muovevano uomini, merci e mulini, e oggi scorrono pigri e abbandonati. Dal Naviglio Pavese al Tevere, passando per il Po, il Trebbia e l'Elsa riaffiora un'Italia di piccoli centri e borghi arroccati, malinconica, generosa e accogliente. Ne fanno parte Alessio, che tiene faticosamente in piedi l'oasi di Alviano; Lino, erede di una generazione di barcaioli che parla ancora la grammatica dell'acqua; o Francesca, che ogni giorno si muove sulle sponde che uniscono Lunigiana e Garfagnana. Ma un viaggio è fatto soprattutto di osservazione lenta e minuziosa, lunghi silenzi, sospensione di giudizio. In questo spazio di solitudine e libertà, emerge la vera vocazione del camminatore: non raggiungere la meta ma esplorare la strada, riscoprire località cancellate dalle mappe, prendersi il piacere di deviare verso la bellezza insospettata dell'ordinario. In questo libro, Finelli ci invita a seguirlo e a ritrovare quell'istinto vagabondo e transumante che per millenni ha accompagnato l'umanità.

L'autore. Riccardo Finelli, giornalista e scrittore, esplora da dieci anni luoghi inediti e viaffi a passo lento. Ha pubblicato Destinazione Santiago (Sperling & Kupfer, 2016), Il cammino dell'acqua (Sperling & Kupfer, 2017); per Incontri sono usciti Storie d'Italia (2007), C'è di mezzo il mare (2008), 150 anni dopo (2010), per Neo Edizioni Coi binari fra le nuvole (2012) e Appeninia (2014).

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8 gennaio 2018 1 08 /01 /gennaio /2018 07:47
Andrea Bianchi, Il Silenzio dei Passi. Piccolo elogio del camminare  a piedi nudi nella natura, Ediciclo, 2016

Nel 2011, Andrea Bianchi, da sempre affascinato dalle ascensioni verso le grandi altezze montane come simbolo della ricerca interiore dell'uomo, durante un'escursione in altitudine, si è tolto le scarpe e ha scoperto che camminare a piedi nudi può essere un'esperienza di grande benessere e di riconnessione con la natura. Dopo la prima, timida e casuale prova, si è andato sperimentando in contesti di terreno sempre più difficili e sempre più a lungo, anche nella pratica escursionistica su sentieri impervi. Il suo camminare a piedi scalzi è assieme una "pratica" e una filosofia di vita che sconfina in una relazione con la natura tesa a coglierne lo spirito vitale e l'energia.
Da allora non ha più smesso e, con una serie di articoli che si sono trasformati in libri, ma anche con la il suo insegnamento diretto, ha tentato di trasmettere ad altri la sua visione.
Non possiamo dimenticare, ovviamente, che il suo camminare a piedi nudi, è un ritorno alla semplicità francescana e, più in generale, ad una filosofia di vita in base alla quale, per il raggiungimento di un pieno benessere, in tutte le nostre abitudini/attitudini occorra semplificare, ridurre drasticamente l'utilizzo di tutti quegli oggetti di cui ci siamo circondati e di cui siamo dipendenti sino all'osso, lasciando  invece solo ciò che è essenziale.

Ma d'altronde in questa pratica ci sono degli antecedenti illustri, come ala pratica dello sport a piedi scalzi tra i quali il cosiddetto "gimnopodismo" ha molteplici rappresentanti illustri (e non illustri), per non parlare delle pratiche ancestrali dei Tarahumara che usano correre ritualmente su i montagnosi sentieri della Sierra, praticamente a piedi nudi - solo con la protezione della sottile intercapedine di sottili sandali che essi stessi (come parte del percorso iniziatico tribale) si sono costruiti: pratica ampiamente descritta da Christopher McDougall e riportata al grande mondo del podismo attraverso il volume interessantissimo - e di grande successo su scala planetaria - Born to Run.

Lo snello, ma succoso volume Il silenzio dei passi. Piccolo elogio del camminare a piedi nudi nella natura, pubblicato nel 2016 da Ediciclo nella Collana Piccola Filosofia di Viaggio, contiene appunto il percorso scalzo di Andrea Bianchi e la sua "filosofia di viaggio".

Mi sono ritrovato molto in ciò che Andrea Bianchi scrive e trovo pienamente condivisibili le sue considerazioni: non è così semplice mettere in pratica questo Verbo, poiché come lo stesso autore avverte ci sono, attorno al camminare  e al correre a piedi nudi, molti pregiudizi culturali che è difficile abbattere. Bianchi, nel corso della sua esposizione che ha l'autorevolezza derivante dalla pratica diretta e da una lunga esperienza, controbatte puntualmente tutte le possibili obiezioni (in maniera garbata e non fondamentalista), nello stesso tempo invitando tutti i suoi lettori non del tutto convinti a provare in prima persona, cominciando ovviamente con situazione relativamente protette e comode, per passare poi ad impegni via via più hard ed ambiziosi, in un percorso che diventa viaggio e filosofia di vita.

Andrea Bianchi, A piedi nudi. Il cammino silenzioso dalla A alla Z, Ediciclo, 2017

Io stesso dopo aver letto le sue pagine, visto che non corro più, mi sono ritrovato a fare una parte dei miei lavoretti in campagna a piedi scalzi, ritrovando un forte stimolo vitale nel contatto diretto dei miei piedi con la terra e con la pietra: ritrovando le sensazioni adrenaliniche ed energetiche che avvertivo in me, quando - più giovane - correvo a piedi nudi, sulla spiaggia o anche sugli sterrati e sull'asfalto., oppure, al mare, saltabeccando da uno scoglio all'altro.

I podisti che adoperano scarpe tecniche altamente protettive perdono la finissima capacità propriocettiva del piede e la sua capacità di adattamento naturale ad ogni tipo di terreno. Camminare o correre a piedi nudi ci consente di trovare un rinnovato equilibrio e una maniera più naturale di articolare con un appoggio prevalente sull'avampiede: cosa che nel lungo termine consente di curarsi da inspiegabili malanni che affliggono i camminatori o i runner calzati e che non hanno riscontri strumentali significativi.

Provare per credere.

Questo libretto trova il suo ideale complemento nel volume sempre di Andrea Bianchi, A piedi nudi-Il cammino silenzioso dalla A alla Z (Edicliclo, 2017, collana Ciclostile)
 

(nota editoriale) Togliersi le scarpe e percorrere scalzi un piano sentiero boscoso, un prato umido di rugiada, o i gradini naturali di un sentiero d’alta quota e imparare a percepire sotto le piante dei piedi nudi il flusso di calore della pietra esposta al sole e le sue diverse tessiture: tutto questo è alla portata di ognuno, appartiene alla preistoria e alla storia dell’umanità, eppure è anche una cosa che oggi è diventata rara nella vita di molti. Basta invece poco per re-imparare a camminare scalzi, e ritrovare una dimensione in cui si intrecciano la meccanica del piede umano, le connessioni benefiche con l’elettromagnetismo terrestre, l’arte di passare dal freddo al caldo che Kneipp elevò al rango di terapia, i milioni di stimoli sensoriali che si accendono nella mente, fino alla scoperta di aspetti più sottili, come l’invisibilità delle tracce e il silenzio che accompagna questo passo leggero, quasi felpato, che mai si impone ma sempre trova il suo personale e unico percorso.

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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Statistiche generali del magazine dalla sua creazione, aggiornate al 14.04.2014

Data di creazione 12/04/2011
Pagine viste : 607 982 (totale)
Visitatori unici 380 449
Giornata record 14/04/2014 (3 098 Pagine viste)
Mese record 09/2011 (32 745 Pagine viste)
Precedente giornata record 22/04/2012 con 2847 pagine viste
Record visitatori unici in un giorno 14/04/2014 (2695 vis. unici)
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