Tempo addietro, mi ritrovai a fare delle considerazioni sulla "corsa lenta" di lunga durata, in contrapposizione a quella più veloce pure nel caso delle ultra distanze , quella propria dei podisti amatori più raffinati (o più fanatici, a seconda di come si guarda alla cosa).
Naturalmente, sentii l'esigenza di forgiare queste mie osservazioni, quando per mancanza di allenamento "serio" e di diuturne applicazioni di sofferenza, ero ormai divenuto senza poter contrapporre alcuna dissimulazione al fatto un podista lento, assumendo l'identità di "tapascione" seconda l'espressione (non felice) in voga tra i runner più brillanti.
Ma dal fatto di essere divenuto un podista "lento" traevo molto piacere, in verità. La lentezza della mia corsa mi dava modo di scoprire delle cose.
Vennero fuori delle osservazioni tutt'altro che banali, devo dire, molto affini peraltro a quelle relative al "camminare lento": del resto, quando si scende al di sotto di certi ritmi di corsa, la differenza tra corsa lenta e camminata veloce si fa sempre più sfumata, sino a scomparire quando si appiattisce del tutto il tempo di volo.
L'articolo venne inizialmente pubblicato su podisti.net, testata giornalistica online con la quale a suo tempo collaboravo. Ma continuai a lavorarci ancora ed ancora, sino a trasformarlo in un piccolo saggio, con tanto di note di riferimenti bibliografici.
Non so, per quali via quel testo - più approfondito - giunse ad un sito web che pubblicava articoli sul "camminare profondo".
Lì il mio saggio rimase incluso per lungo tempo. Di recente avrei voluto riprenderlo per linkarlo a qualcuno interessato alla sua lettura, ma ho scoperto che purtroppo, pur essendo ancora di esso il titolo, non era più possibile l'accesso al file in .pdf.
Ho sentito così l'esigenza di riprenderlo e di darne visibilità su questo magazine.
Ma poiché è di grande ampiezza e con una formattazione che sarebbe un peccato perdere, ivi incluse le note, ho pensato di pubblicarne qui soltanto l'incipit e includere in calce il file in pdf, in modo che chiunque avesse voglia, lo possa leggere nella sua interezza.
Quando corriamo, siamo in una condizione ideale per osservare il mondo che ci circonda.
Mi spiego meglio.
Viviamo in un mondo che tende alla velocizzazione sempre più estrema.
Si valorizzano sempre di più il movimento, la velocità di esecuzione del gesto, il livello performativo, talvolta in modo così estremo che non vi è più la possibilità di capire cosa sta accadendo.
In alcuni casi ciò dipende dal fatto che nella rappresentazione mediatica della realtà vi è sempre più massiccia la tendenza a copiare i videogiochi.
Prendete il caso dei moderni film di azione: colonne sonore sparatissime, sequenze di azioni turbinose amplificate da un uso magistrale degli effetti speciali e di azioni mirabolanti messe in scena dagli stuntman. A volte l'azione è così veloce che non si capisce affatto che cosa stia accadendo; tra rumori convulsi, tonfi, botti e turbini di movimento non si riesce più a cogliere il singolo dettaglio dell'azione, se non avere la percezione confusa che sia accaduto qualcosa.
La stessa cosa succede quando ci spostiamo in treno o in automobile: velocità sempre più estreme, riduzione dei tempi di percorrenza, lo spostamento da un luogo ad un altro si riduce alla lettura e registrazione di mere cifre: il tempo necessario, misurabile in ore, minuti, secondi, per percorrere una determinata distanza, gli importi chilometrici realizzati nello spostamento.
Ma, a volte, non ci preoccupa nemmeno di questi aspetti. Si vive lo spostamento in maniera inconsapevole, a volte esprimendo paradossalmente lamentele circa il fatto che sia avvenuto in maniera poco veloce…
La velocità spesso non consente più di "guardare" cosa c'è fuori di noi, precludendo ai diversi elementi della realtà esterna l’ingresso nel nostro campo percettivo, se non in maniera confusa e turbinante, labili tracce imperfette dai contorni sfumati ed indistinti.
E spesso, anche quando non si è immersi in un’azione veloce, si cerca comunque un surrogato della velocità: basti pensare a quelli che, per correre, hanno l’assoluta necessità della musica nelle orecchie, sostituendo così al ritmo del proprio corpo quello veloce dispensato dal walkman.
Quanto maggiore è la velocità dello spostamento, tanto più siamo spinti a rinunciare a costruire nella nostra mente un'immagine della realtà che abbiamo attraversato, che sia ricca di dettagli e di elementi cromatici.
Per proseguire la lettura scarica il file in pdf, qui allegato.
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