Sono riuscito a recuperare questo mio articolo pubblicato su podisti.net, il 1° marzo 2006. Lo ripropongo qui, anche perchè in una delle tante riformattazioni della piattaforma operativa di podisti.net, il testo ha subito delle perdite di formattazione che ne rendono la lettura fastidiosa. Lo ripropongo, quindi, tentando di recuperarne la formattazione originaria.
Ricordo che mi diverti davvero tanto, quando lo scrissi.
(Maurizio Crispi) Mentre la maratona è una gara individuale (in linea di massima, ognuno si confronta da solo con la sua fatica), quando si avvicina il momento del fatidico sparo (o colpo di cannone che sia, come a New York) si sta tutti ammassati in uno spazio ristretto (formando una massa umana che, nelle grandi maratone, assume proporzioni quasi bibliche, quelle - per intenderci - "over-10.000" partenti).
Si sta compressi in uno spazio limitato, tanti corpi a stretto contatto l'uno dell'altro, a volte impilati come sardine.
Questo è un grande vantaggio nelle giornate particolarmente fredde: il calore animale che si sprigiona da tutti questi corpi e dai respiri che immettono aria calda e umida crea una cappa di temperatura confortevole che spiega perché tanti possono starsene tranquillamente in canotta e pantaloncini senza battere ciglio.
Nello stesso tempo, nei minuti d'attesa, bisogna confrontarsi con una miriade di sensazioni olfattive: dai buoni odori di bucato ancora fresco dei panni da jogging indossati puliti, a quello di deodorante, di acque di colonia e lozioni dopobarba applicati a profusione, alle molteplici puzze di sudorazioni più o meno stantie, all'afrore di corpi non sempre ben lavati, all'odore forte e stucchevole di olio canforato e di tutte quelle creme, unguenti e lozioni che i podisti amano applicarsi alle gambe e alle cosce prima di una gara lunga.
A volte, a questi odori, si mescola il sentore più ammoniacale dell'urina, quando - soprattutto nelle maratone "giganti" (tipo New York) - molti distillano le loro ultime gocce di piscio direttamente sul posto, a volte sulla felpa buttata via per evitare schizzi molesti sulle scarpe dei vicini (bontà loro...).
I maschietti sono in genere i più disinvolti in queste procedure d'emergenze; le donne, più pudiche, si arrangiano prima come possono, ma non mi è mai capitato di osservare che una podista in mezzo alla folla dei partenti provvedesse ad una pipì d'emergenza...).
Su questa dissonante "sinfonia" odorosa che funge - per così dire - da "base musicale" in un immaginario karaoke olfattivo, s'innestano a volte miasmi fetidi e pestilenziali che ammorbano l'aria tutt'attorno, impestando irrimediabilmente i panni che uno ha addosso: e non c'é niente da fare, in questi casi. Si può solo subire, facendo buon viso a cattivo gioco: non ci sono finestre o porte che si possano spalancare, non una ventola aspirante da mettere in funzione, non lenzuola e coperte da sventolare e nemmeno si può andar via alla ricerca d'una boccata d'aria pura.
Quando ciò accade si vivono terribili momenti d'autentica ansia claustrofobica, mentre ci sembra di soffocare.
Analogamente, può accadere che, già in gara, ci si trovi ad attraversare un'invisibile nuvola fetida, rimasta dopo il passaggio di qualcuno davanti a noi: ma in questi casi, il danno é decisamente di minore entità. E' sufficiente trattenere il respiro per pochi secondi e il fetore ce lo siamo già lasciato alle spalle.
Mentre siamo ammassati in attesa della partenza, quello che ci tormenta é una particolare figura di podista che potremmo definire il "subdolo artigliere" che colpisce con le sue "bombe" silenziose nel più completo anonimato. Si verifica esattamente la stessa situazione che ci si può trovare a sperimentare su di un mezzo pubblico affollato: all'improvviso l'aria si fa mefitica, tutti sgranano e roteano gli occhi, prendendo a guardare con sospetto o con espressione torva le persone più vicine, mentre al contempo cercano di trattenere il respiro il più a lungo possibile. In questi casi, si potrebbe ipotizzare che colui che ha colpito, cioè il "subdolo artigliere" di turno, se ne stia lì a recitare anche lui una solerte sceneggiata, mettendosi nei panni di chi ha subito la grave "offesa" olfattiva. In questi casi, il peto che arriva silenzioso non solo ha un potere ammorbante, ma ingenera immediatamente anche una velenosa atmosfera di sospetti reciproci: non v'é dubbio che, considerando che nessuno alzerà mai il braccio per dichiararsi il responsabile, ciascuno dei presenti potrebbe essere stato il colpevole. Ognuno scruta l'altro alla ricerca di un segno qualsiasi che tradisca il giuda, un'involontaria dichiarazione di colpevolezza, una qualche espressione di autocompiacimento. Ma veramente di rado accade che il responsabile possa essere beccato.
Ma chi é il "subdolo artigliere"?
Ve lo spiego subito.
I subdoli artiglieri sono come i franchi tiratori della flatulenza, ma sono anche come coloro che lanciano un sasso nascondendo subito dopo la mano che l'ha lanciato (anzi, senza nemmeno farla apparire). Un tizio (che ha voluto rimanere nel più rigoroso anonimato, proprio come i subdoli artiglieri di cui disquisisce) si é dato la pena di scrivere un'interessante e divertente trattatello dal titolo, L'arte di petare, ovvero il manuale del subdolo artigliere (ES Edizioni, 1998). Al titolo d'aggiunta, per la verità, la seguente dizione: "A cura del Conte de la Trompette, Medico del Cavallo di Bronzo, ad uso delle persone costipate". Scrive l'anonimo autore del piccolo e originale saggio, pubblicato in Francia nel 1964, irresistibile ed interessante (su cui meditare, ma anche da leggere in compagnia):
"Petare è un arte, dunque una cosa utile alla vita, come sostengono Luciano, Ermogene, Quintiliano e molti altri ancora. In effetti, saper petare correttamente é più importante di quanto solitamente si ritenga. Infine, si può petare con metodo e con gusto, come saprò dimostrarvi in questa trattazione. Non esito dunque a render pubbliche le mie ricerche e le mie scoperte su di un'Arte di cui é impossibile trovare alcunché di soddisfacente financo nei più ponderosi dizionari nei quali, incredibile a dirsi, il peto sovente non é neppure considerato degno d'esser menzionato. Mi accingo così a offrire i principi di quest'arte a ogni lettore desideroso di ficcarci il naso".
Sembra voler suggerire il nostro Autore che "petare" sia un'arte che può raggiungere in alcuni casi vette sublimi, nonché un'attività pregevole per mantenersi in una condizione di buona salute. Ma, secondo le tesi dell'autore, oltre alla meticolosa nomenclatura classificatoria delle diverse morfologie del "vero" peto si affiancano altre due forme di ventosità fastidiose e nefaste che screditano la buona reputazione di cui dovrebbe godere il peto "vero" e "puro".
Ammonisce, dunque, il nostro Autore:
"Il vero peto [o chiaro] è privo di odore, o ne ha così poco da non aver la forza di oltrepassare lo spazio che separa il varco da cui esce al naso dei presenti. Lo stesso nome latino del peto crepitus indica un rumore privo d'odore, e il malinteso nasce probabilmente dal fatto che in genere si confonde il peto con altre due ventosità, queste due funeste. La prima offende l'odorato e si chiama volgarmente loffia o, se si preferisce, peto muto o peto femmineo. La seconda, quella che offre lo spettacolo più odioso, viene chiamata peto spesso o correggia del manovale. La loffia caricata unicamente di quel che ha saccheggiato in precedenza, guadagna l'uscita senza far rumore ma in cambio offende nel modo più funesto l'odorato" (ib., pp. 20-22).
Sorvolando, invece, per decoro, sulla descrizione del peto spesso (che è quello che in dialetto siciliano viene definito come piritu cu giummo (espressione idiomatica di cui, sempre per decoro, vi risparmio la traduzione), la loffia, cioè la ventosità silenziosa (che arriva senza essere stato annunciata prima da alcun rumoreggiamento e, dunque, definibile come un "lampo" olfattivo, non seguito da alcun tuono). Le scorregge, quelle rumorose (di cui l'autore citato fornisce una minuziosa classificazione) e tanto amate da Christian De Sica nella serie cinematografica dei cinepanettoni, sono ben poca cosa rispetto alle funeste sofisticherie della loffia che ammorba l'aria: gli effetti sonori tanto emblematici della cultura goliardica e carnascialesca, pur essendo pertinenti con l'arte sublime del petare decantata dall'Autore non consentono in alcun modo di accedere alla proditoria abilità del subdolo artigliere cultore della “loffia”.
Dunque, sempre secondo i principi esposti ne L'arte di petare, Joseph Pujol (1847-1945), il famoso "Petomane" (e impersonato egregiamente da Ugo Tognazzi, in uno dei suoi ultimi film) era un vero artista del peto "petardo" (quello rumoroso e senza odori) o anche di quello – anomalo – silenzioso, ma senza odori (derivante quest’ultimo dalla sua capacità di introdurre nell’intestino grandi quantità d’aria con l’esercizio di un’innata attitudine, che fu peraltro oggetto di studi da parte di alcuni fisiologi del tempo), in quanto esercitava la sua arte rimanendo nel range della percezione uditiva (articolare frasi, parole, arie musicali) e della “performance” (spegnere una candela alla distanza di un metro, per esempio), senza mai porsi nei panni del "subdolo artigliere" (cioè di “ammorbatore” dell’aria comune).
Sembrerebbe suggerire, infine, l'autore del piccolo saggio che il "subdolo artigliere" abbia una sovrastima narcisistica della sua attività e che goda sottilmente nell'osservare gli effetti che la sua sulfurea attività provoca agli altri. Volendo guardare la cosa sotto questo profilo, dunque, il subdolo artigliere non è un solitario e deve necessariamente poter contare su di un suo pubblico, anche se non potrà mai uscire dall’anonimato.
Il fatto di dover rimanere celato nell’ombra, il più delle volte accresce il sottile piacere dell’esercizio della sue funeste ventosità .
Le loffie, per questo motivo, hanno una forte rilevanza sociale, perché determinano effetti anche cospicui all'interno della comunità in cui sono disseminate. In questo senso, il subdolo artigliere potrebbe anche essere un’emblematica figura dei consessi umani: è colui che inquina e ammorba rimanendo celato e che non si cela per vergogna ma perché gode del suo molesto anonimato.
Molti, pur avendo la tempra del subdolo artigliere, non hanno la stoffa psicologica per poterlo essere sino a in fondo e, scivolando su di un eccesso di mal riposta sincerità e lealtà , si espongono ingenuamente al pubblico ludibrio.
Al tal riguardo voglio raccontarvi un episodio dei tempi della scuola.
Al Liceo avevo un compagno che qui voglio chiamare De Fartis (lasciando il suo vero nome nell’anonimato). De Fartis era uno di quei personaggi che finiscono con il diventare presto una macchietta: era un tipo allampanato, con gli occhiali dalle lenti spesse, cerchiate in una goffa montatura, ma si presentava anche con un aspetto perennemente polveroso e con abiti che, pur puliti e decorosi, parevano sempre irrimediabilmente stantii. De Fartis stava seduto nella fila centrale di banchi, quasi in fondo all'aula, perché era piuttosto alto. Alla sua sinistra si trovava due grandi finestre che davano luce all’aula. Avrebbe potuto essere un ottimo subdolo artigliere: per costituzione o per preferenze alimentari della sua famiglia, aveva sempre una sovrabbondante produzione di gas intestinali ricchi di amine odorose. Pur possedendo le risorse per poter essere un subdolo artigliere, per un eccesso di cortesia e di educazione (forse oggi si direbbe di political correctness) si tradiva regolarmente. Di tanto in tanto, perfino nelle più fredde giornate d’inverno, lo si vedeva improvvisamente schizzare in piedi nel bel mezzo della lezione per dirigersi con fare deciso e repentino verso il finestrone più vicino che, senza proferire verbo, spalancava immantinente. Alla sua azione facevano seguito le irate proteste di tutti noi che, in coro, gli gridavamo: Ma cosa fai De Fartis? Sei impazzito? Non vedi che così moriamo tutti di freddo!. De Fartis, schiacciato dal peso delle vibrate proteste, ubbidiente, richiudeva la finestra, riprendendo posto al suo banco: sempre senza proferire parola. A finestra chiusa, nemmeno era passato un istante, che l’intera aula era sommersa da un odore pestilenziale. Il coro era di nuovo unanime: De Fartis, cosa hai combinato! De Fartis, schifoso! Sempre lo stesso sei!
Anche in questa seconda fase del suo ineluttabile destino, De Fartis se ne rimaneva silente.
Lo stesso copione si ripeteva puntualmente, con minime variazioni da un giorno all’altro, tanto che ad un certo punto il povero De Fartis divenne il capro espiatorio delle proditorie attività dei subdoli artiglieri, quelli veri che - come in ogni consesso umano - nella nostra classe non mancavano e che agivano celati nell’ombra. Malgrado ciò, De Fartis si mantenne sempre fedele alla sua linea di condotta, e, ogni volta che si rendeva conto d’essere stato il responsabile di un qualsivoglia inquinamento olfattivo, agiva in modo conforme al principio della sincerità (si potrebbe dire con espressione moderna che faceva “coming out” della sua condizione di peteggiatore silente). Non volendo o non essendo capace di farsi subdolo, De Fartis finì¬ con l’assumere l’identità del candido ed ingenuo artigliere, pronto a dichiararsi disseminatore di loffie e, dunque, esponendosi in nome dell'onestà alla pubblica esecrazione. Fu così che, al minimo sentore di una puzza, tutti si trovassero a gridare contro il povero De Fartis che, da allora, si portò cucita addosso la nomea di irriducibile puzzone.
Dobbiamo dunque accettare che anche tra noi, alla partenza di una maratona si nascondano i subdoli artiglieri che, nell’assembramento, colpiscono con determinazione e con intimo godimento.
Come fare per prevenire le moleste azioni dei subdoli artiglieri? Temo che non ci sia alcuna soluzione possibile.
Potremmo soltanto chiedere ai subdoli artiglieri che si troveranno a leggere questo scritto, in nome della passione che ci accomuna, di essere cortesi, limitando il più possibile la disseminazione delle proprie loffie oppure, se l’impulso a liberarsene fosse talmente irrefrenabile - di cercare di variare opportunamente la loro dieta-base all’approssimarsi d’una maratona riducendo drasticamente legumi, broccoli, cavoli e cavoletti di Bruxelles, krauti, scalogno, cipolle e cipollotti e tutti i cibi feculenti e flatulenti.
Forse, soltanto così potremo respirare un’aria più salubre, in attesa dello start e non dovremo più sentirci ammorbati.
Ma, in fondo, cosa importa?
Ribaltando la questione, potremmo invece ringraziare i subdoli artiglieri perché con le loro flatulenze, ci riportano indietro ai nostalgici tempi della scuola.
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