Prosegue il Cammino di Santiago di Emanuela Pagan: questa volta contravvenendo alla consuetudine, verranno pubblicati assieme i resoconti di tre tappe consetuive, di cui non sono arrivati giornalmente i resoconti.
Le cronache di queste tre tappe Emanuela li ha inviati assieme e quindi assieme li pubblicheremo.
Il suo movimento complessivo nei tre giorni di cui diamo il resoconto è stato da Ventosa a Belorado, passando per Ciruena e per Granon, e soprattutto attraversando momenti di crisi e di riaccensioni delle speranze.
Il Cammino di Santiago, al di là della sua interpretazione valoriale religiosa e confessionale ha un valore universale. Può essere affrontamento con spirito laico e tuttavia provoca grandi movimenti interiori, facilitati dal totale disancoramento dalle proprie abitudini. Trasformazioni che giungono inattese, che, a volte, possono essere riconosciute soltanto a posteriori molto dopo la fine del Cammino e cominciano a verificarsi quando il corpo è sempre più macerato dalla diuturno fatica del Camminare e man mano che si si libera sempre più dalle scorie e dalle cose superflue che affolano la nostra vita ordinaria e riempiono la nostra mente.
Questa potenzialità del Cammino finisce con il colpire anche i più riottosi e i più scettici, perfino coloro che vi sono accostati con piglio esclusivamente sportivo e performativo (anche loro, alla fine, sono costretti a cedere e a ricredersi).
Il Cammino pone le basi per un'espeienza estatica "laica", nel senso etimologico della parola "ex-stasis", cioè fuori dall'immobilità, ed è scatto, movimento interiore, trasformazione.
(9^ tappa, Ventosa - Ciruena, 2 agosto 2015) All'inizio la tappa è molto bella. Si attraversa una zona dove la terra rossa si è conglobata in forme fantasiose. L'immaginazione viaggia insieme ai chilometri.
Un alto palo indica quanti ne mancano a Santiago. All 'inizio sembra un'informazione rassicurante, poi diviene fastidiosa ripetuta a ogni chilometro.
Lasciato il piccolo centro di Azofra la strada diviene un lungo sentiero in mezzo ai campi di grano. Nessun pellegrino davanti o dietro di me. Non mi resta che guardare non troppo lontano dai miei piedi per far passare lo spazio che mi separa da Ciruena.
I paesi che sto attraversando sono rare case in mezzo al nulla. Vedo una piscina, ma calcolo la disponibilità di metri quadrati di acqua che avrei in mezzo a tutte quelle famiglie in pausa domenicale.
Decido di andare direttamente all'ostello dove trovo Pier e Carolina conosciuti la sera prima.
Una terrazza sotto un angolo di cielo mi aspetta per una fantastica dormita.
Nel sottofondo il francese si mischia con l'inglese in una dolce nenia.
(10^ tappa, Ciruena-Granon, 3 agosto 2015) Oggi parlo con la mia ombra. È davanti a me che si muove ritmicamente. Le chiedo perché non si ferma a riposare, anzi, la vorrei convincere a prendere un autobus e andare fino a Santiago seduta guardando correre il paesaggio fuori dal finestrino. Non ne vuole sapere. Continua il suo movimento ritmico e non mi risponde.
Non avevo mai fatto un cammino. Qui non si può sbagliare niente. I primi due giorni avevo il peso sbilanciato e una delle mie gambe se ne è accorta. Avevo pensato di mettere le scarpe da trail e avevo sentito che il mio piede si stava lamentando, ma non volevo togliermele fino in albergo.
Il risultato è una piccola, ma fastidiosa vescica.
A Grañón faccio i conti con la farmacista. In questo paese c'è anche una piscina.
Mi fermo.
Se c'è una cosa che ho imparato è rispettare il mio fisico. È l'unico modo per stare bene.
Giornata di rilassamento in un piccolo paese che offre poco. Un pane molto buono e fresco anche a sera tardi. Gli anziani si siedono fuori dalle porte delle loro abitazioni a parlare per far arrivare la notte.
Mosche fastidiose vi abitano in numero maggiore della popolazione.
Santiago non mi sembra più così scontata.
(11^ tappa, Grañón - Belorado, 4 agosto 2015) Se la matematica non inganna potrei ancora arrivare a Santiago nel tempo previsto. Decido di dormire in una camera singola con bagno.
Il mio sistema immunitario è indebolito, meglio non metterlo alla prova con batteri stranieri.
Oggi faccio una tappa unica senza soste. Parto con la camera prenotata. Scherzo con un giapponese quando incontriamo il cartello che indicano i 555km mancanti. "Only?", gli sorrido, "It's a joke!".
Lui ride. Entrambi sappiamo che sarà molto seria la faccenda.
Supero un sacco di pellegrini, rallento un attimo con una coppia di connazionali, ma ho voglia di ridurre il tempo da stare in piedi.
Attraverso paesi mezzi distrutti. Un vecchio con il suo cane mi saluta. Una carezza non la nego all'animale. Come quella data ieri a un gatto rosso e bianco. Sembrava bello da dietro, invece aveva un occhio rovinato, il naso tagliato e una zampa inutilizzabile.
Si muoveva tra le sedie di un bar. I bambini scappavano inorriditi. Lui si accasciava per terra, incurante, a guardare la chiesa.
Dopo aver finito il mio bocadillo con tortilla, l'ho accarezzato. Non se lo aspettava. È rimasto lì con il muso un po' sollevato. Non ha fatto le fusa. È passato troppo tempo da quando è stato amato.
Belorado sembra non arrivare. Architetto che se non è oltre la prossima curva, prendo un autobus dritto per il finisterre. Dormo e mi alleno per la maratona.
Spunta l'albergo prima che riesca a immaginare la prima onda dell'oceano.
Per oggi finisce con i piedi immersi in una piscina in cui incaute api finiscono con l'annegare.