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17 agosto 2011 3 17 /08 /agosto /2011 07:53

sciamanager.jpgDa alcuni anni che si va diffondendo la pratica di proporre corsi (li chiamano training) per manager con iniziative all'aperto (le chiamano outdoor), o corsi di sopravvivenza (survival) dove mettere alla prova il manager in situazioni difficili. Il camminare diventa in quel caso strumento per aiutare l'impresa a produrre meglio.
Il libro di Massimo Borgatti "Sciamanager. La via energetica alla leadership, tra sciamanismo e management" (Il Punto d'incontro, 2011) rientra esattamente in questo genere, con l'operazione (azzardata) di mettere insieme due culture, quella occidentale manageriale e quella degli sciamani toltechi, diffusa nel mondo da Carlos Castaneda.

Sciamanager introduce i manager a concetti come energia, potere personale, con il riferimento a Nagual, guerriero che lotta per essere impeccabile.

L'applicazione del sapere sciamanico ai manager è la parte interessante del lavoro di Borgatti, mentre altri capitoli sono molto tecnici, dedicati a specialisti del settore, e fatti di diagrammi e tabelle, ma a noi camminatori può interessare il fatto che un intero capitolo è dedicato al camminare come tecnica di consapevolezza e crescita personale.
Il manager ricerca l’efficacia personale e del proprio team in un contesto competitivo, senza perdere l’attenzione per il benessere delle persone. Abituato a raccogliere la sfida di perseguire obiettivi ambiziosi con risorse limitate in un sistema economico e relazionale sempre più competitivo, complesso e mutevole, il manager affronta la realtà con pragmatismo, concretezza e con i piedi ben radicati a terra.
massimo-borgatti.jpgLo sciamano, che è uomo di potere perchè senza hubrys è in grado di vedere le linee di forza che refolano l'universo, vede l’essere umano come un campo energetico immerso in un misterioso universo di energia. Sapendo che l’unica via per esprimere al meglio il proprio potenziale e raggiungere consapevolezza e libertà è quella di usare in maniera “impeccabile” la propria energia, lo sciamano affronta il mistero con disciplina, strategia e con i piedi ben radicati a terra.

Dal dialogo tra il manager e lo sciamano nasce il percorso di crescita professionale e personale, indicato da Massimo Borgatti in Sciamanager: un cammino verso l’efficacia e la libertà, attraverso la piena espressione del proprio potenziale.

La mappa di questo viaggio, descritta in questo originale manuale teorico-pratico, è il collaudato modello ENERGY, FOCUS, FLOW adottato con successo dall’autore nel corso di corsi, incontri e seminari in cui

  • Energy  si riferisce al concetto della padronanza dell’intento
  • Focus alla padronanza della consapevolezza
  • Flow  allla padronanza della trasformazione


Questo libro, che analizza la figura del leader, riporta alla memoria un saggio di tanti anni fa, "Il Tao della leadership. Gestire il potenziale umano in armonia con le leggi universali" di John Heider (Edizioni L'Età dell'Acquario). Per chi scrive, è un libro molto importante per impostare il proprio lavoro di guida.

Heider parte dal testo del Tao, scritto nel V secolo avanti Cristo per i capi militari, e lo adatta a conduttori di gruppi di qualsiasi genere, educatori, psicoterapeuti, guide, e anche capi aziendali. E funziona, l'insegnamento del Tao, di essere leader poco presenti, che non mettono se stessi al centro, ma valorizzanoal massimo il gruppo, è fondamentale. Entrambi questi libri dimostrano come l'uomo occidentale moderno ha tanto da apprendere dalle culture lontane dalla nostra, che molte volte erano già arrivate dove noi siamo adesso, molti anni prima.

 

Massimo Borgatti, "Sciamanager. La via energetica alla leadership, tra sciamanismo e management", Edizioni Il Punto d'Incontro, 2011, 19 euro

 

Il video di presentazione del libro

 


 
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22 giugno 2011 3 22 /06 /giugno /2011 07:00

camminatore-di-dio-copia-1.pngBruna Scalamera, "camminatrice profonda", ha scritto e pubblicato nel 2009 (per i tipi di Liberodiscrivere) il volume "Camminatori di Dio", riversando nelle sue note diaristiche le sue esperienze di cammino e di scoperta, attraverso la  pratica del camminare profondo, della propria interiorità

"A chi cammina non si muovono solo gli astratti pensieri nel cervello, ma si mettono in movimento carne e sangue, così le sapienze inconsce depositate negli organi possono mobilizzarsi, montare in alto e riaffiorare nella coscienza" - così scriveva l'esperta di fiori di Bach Mechthild Scheffer, qualche anno fa.

E il libro di Bruna Scalamera, di tale assunto, è una vivida prova.

Bruna ha camminato fino a Santiago in quaranta giorni nel 2003, scrivendo un diario molto profondo, pieno di riflessioni intime, ma anche condivisibili.

Ha poi rivisto il diario e lo ha pubblicato nel 2009.

Per i camminatori appassionati e per i pellegrini interessati ai sentimenti lungo il Cammino è una bella lettura, anche se 425 pagine scritte fitte sono davvero un po' tante.
Bruna ha preso consapevolezza del potere del camminare.

A metà del suo viaggio ha sperimentato un'esplosione emotiva, e con un commento inserito un anno più tardi dice di questo suo cambiamento in atto: "Di giorno in giorno ero interiormente sempre più aperta, ma ne ero consapevole solo fino ad un certo punto. In effetti attraverso il varco entravano ed uscivano sempre più cose. Entrava la Vita, nei suoi molteplici aspetti".
Lei si è sentita sin da subito subito "camminatrice di Dio", e sicuramente non nel senso confessionale del termine.

Il suo libro è il diario di una credente, ma - soprattutto - è il diario di una donna profonda, capace di leggere dentro di sè e dentro le persone che andava incontrando lungo il cammino. Perchè, come dice lei, "...il vero piacere risiede nel profondo".


Dal risguardo di copertina

Un giorno, improvvisi, lo sguardo e il cuore si levano al cielo per cogliere un suono che invita ad un movimento diverso: è la vocatio. Allora, zaino in spalla, si parte en quête, come i cavalieri erranti, come i pellegrini di ogni parte e di ogni tempo, pronti ad un viaggio
di trasformazione interiore.
Facilmente ci si ritrova sulla Via Lattea, verso Santiago de Compostela e oltre, verso Finisterra: essenziale cammino di fede, esso nutre e tempra la naturale  dimensione cosmica, spirituale dell’Uomo.
Da questo momento si diventa “pellegrini” per antonomasia - come ricorda Dante - Camminatori di Dio sempre, dentro e fuori del Camino: la ricerca di Sé, del senso della Vita, di Dio, non ha più fine.

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17 giugno 2011 5 17 /06 /giugno /2011 07:00

Carlo AiroldiLa recente impresa compiuta da un manipolo di runner che hanno corso in tappa unica da Torino a Roma (su una distanza complessiva di 712 chilometri), mi ha fatto venire in mente l'impresa di Carlo Airoldi, vissuto in un periodo in cui si sviluppava un'attenzione crescente per le attività ginnnastiche (che, spesso, senza nessuna specializzazione, includevano la pratica della Box, il Ciclismo, il Podismo, la Marcia e la Ginnastica. Insomma, gli sportivi di quell'epoca erno a tutti gli effetti degli autentici "factotum", interessati a molte cose, spesso le più disparate, ma con l'obiettivo di mettersi a confronto con obiettivi sfidanti. Prima del 1996, anno in cui - è risaputo - furono celebrati i primi Giochi Olimpici della modernità, era invalsa la consuetudine di organizzare eventi di marcia/corsa su distanze prolungate in linea, da una città all'altra (per esempio: Milano-Torino, sino alla incredibile Milano-Barcellona, alla quale Carlo Airoldi partecxipò, vincendola.

Poi, arrivo la maratona olimpica e, per decenni, la distanza di maratona, normata dai giudici di gara e dai regolamenti di gara, occluse tutto quello che c'era stato prima. L'interesse del grande pubblcio si spostò sulla sfida di Maratona (cui venne datoa una grandissima popolarità con l'impresa di Dorando Pietri, a Londra, nel 1908, e il grande pubblico dimenticò quelle sfide che sino all'ultimo decennio del XIX secolo avevano infiammato la fantasia popolare.

Carlo Airoldi, assieme ad altri personaggi come Ettore Bargossi, rappresenta - a tutti - gli effetti - un precursore dell'ultramaratona.

Il volume di Manuel Sgarella (uscito nel 2005) ha avuto l'indubbio pregio di recuperare dall'oblio Carlo Airoldi e le sue "mitiche" imprese, avvalendosi di documenti inediti e di articoli giornalistici del tempo. Di seguito, la recensione, pubblicata a suo tempo nel sito web della IUTA.

Carlo Airoldi. La leggenda del maratoneta: il libro di manuel sgarellaE' stata pubblicata in volume, nel 2005, la storia di Carlo Airoldi (Origgio, 1869-1929), che si può considerare a tutti gli effetti un vero precursore dell'ultramaratona italiana. "La leggenda del maratoneta. A piedi da Milano ad Atene per vincere l'Olimpiade" (Macchione Editore, Varese) è stato scritto da giornalista e sceneggiatore Manuel Sgarella che si è avvalso di preziosi documenti  d'epoca e delle testimonianze di suoi discendenti, per costruire una storia in cui lo stesso Carlo Airoldi, in prima persona racconta di sè e della sua imprese, sino all'avventura ateniese.
Carlo Airoldi, ginnasta, ciclista e runner, visse in un periodo in cui la pratica dello sport prendeva piede non solo come passatempo dei ricchi e degli aristocratici, ma anche  come occasione di afffrancamento dei lavoratori e dei proletari. Airoldi visse in un periodo in cui il ciclismo e il podismo, in quanto sport "popolari" avevano ancora eguali chance di sviluppo, con qualche punto di vantaggio anzi a favore del podismo che veniva interpretato come impresa sulle lunghissime distanze.
Poi, per una serie di circostanze diverse, tra le quali - non ultima - l'affinamento della tecnologia di costruzione dei velocipedi, l'ebbe vinta il ciclismo con l'emergere - all'inizio del secolo scorso - delle due grandi manifestazioni a tappe ciclistiche europee (Giro d'Italia e Tour de France), mentre invece il podismo "a tappe", oppure su "tapponi" unici, si eclissava a causa della standardizzazione della distanza di maratona.
Carlo Airoldi fu un personaggio "al bivio", combattuto (come del resto fu anche Dorando Pietri all'inizio della sua carriera di maratoneta, qualche anno più tardi) tra la seduzione del ciclismo e quella del podismo, quest'ultimo peraltro interpretato più come "ultramaratona" che non come corsa su brevi distanze.
Nel suo lungo curriculum podistico, Carlo Airoldi partecipò a numerose gare su distanze dai 50 km in su: la Milano-Cernobbio, tra il 25 e il 26 giugno 1894; la Lecco-Milano tra il 22 e il 23 luglio 1894 di cui fu vincitore; la Torino-Nizza Mare, sulla distanza di 210 km tra l'8 e il 9 settembre 1894; e, infine, la Milano-Barcellona, di 1020 km, di cui fu dato lo start l'8 settembre 1895 per concluderla entro il 22 settembre) che egli vinse alla testa di altri cinque "superstiti", con grande clamore di pubblico.
"Il ricevimento a Barcellona fu festosissimo. Intervennero cittadinanza, consoli, varie società, rappresentanze della marina italiana. Si fece una bicchierata fraterna, in cui si brindò ai sei campioni molto ammirati. Il Carlo Airoldi è molto noto a Milano, giacchè partecipò a tutte le principali corse pedestri tenutesi in questi due anni. Arrivò primo nella Milano-Lecco. E' piccolo, tarchiato, robustissimo." (pp 78-79)
Carlo Airoldi, avuta notizia che, in occasione della prima - ancora oscura e poco - nota manifestazione dei Giochi olimpici nel 1896 (la storica I Olimpiade moderna), si sarebbe corsa una gara internazionale sulla distanza di 40 km, decise di partecipare: e, considerando la sua preparazione, avrebbe avuto forti titoli per vincere. Qui sarebbe stato l'unico atleta a rappresentare l'Italia.
In mancanza di mezzi economici, e con l'unica sponsorizzazione (in questo fu moderno ed anticipò sicuramente di molto i tempi) da parte di un piccolo giornale locale "La Bicicletta" (in questo Carlo Airoldi fu assolutamente moderno e quasi un precursore, quando invece Statunitense e Inglesi, spesso aristocratici erano finanziati dalle Università), all'età di 26 anni, se ne partì a piedi da Milano il 28 febbraio 1896 e, a grandi tappe, raggiunse Atene via terra nel pomeriggio del 1° aprile, pochi giorni prima dell'inaugurazione dei giochi (che avrebbe avuto luogo il 6 aprile.
Così, il suo racconto, dopo il passaggio del confine:
"Vedendo il tempo migliorare e la pioggia darmi una tregua nella sua stressante insistenza, pensai ingenuamente che il peggio fosse passato e che nei giorni a veniremi sarebbe stato tutto più semplice. Avevo percorso in otto giorni 520 k, una media di 60 al giorn. Considerando che che ero stato costretto a fermarmi un giorno a Trieste per il passaporto, i numeri mi consolavano" (p. 41)
LouisSpiridionIl grande favorito della maratona che, per il suo significato simbolico, sarebbe stata la gara clou dei giochi era il greco Spiridon Louys: anzi, segretamente, nella mente degli organizzatori, per il rispetto della retorica che si stava costruendo attorno alla distanza di maratona, avrebbe dovuto essere proprio il Greco a ottenere la vittoria.
Forse, fu proprio per motivi legati a questa necessità che Carlo Airoldi, alla vigilia della maratona, venne squalificato, promotore della severa decisione un componente italiano dell'allora neo-nato Comitato Olimpico Internazionale, con la motivazione che egli non era un atleta puro, avendo accettando in occasione di una gara paesana a Rogoredo oltre a dei premi in natura, anche qualche lira (15 lire per l'esattezza).
In seguito, Airoldi commentò: “Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde, fu il più grande dolore della mia vita”.
In questo senso, questo autentico precursore ed interprete dell'ultramaratona italiana, fu una vittima d'antan della retorica dei Giochi Olimpici e della forzata interpretazione del dilettantismo "puro" imposta da quel manipolo di aristocratici che avevano varato i giochi olimpici moderni, guidati da de Coubertin.
Malgrado la sua esclusione clamorosa, al suo ritorno in Italia, Carlo Airoldi, venne considerato un vero eroe popolare e a lungo ricordato: a lui, anni, dopo Gianni Brera dedicò uno dei suoi magistrali articoli (peraltro riportato nel volume di Sgarella).
Il piccolo volume è estremamente interessante non solo per l'impianto diaristico con cui l'autore narra la storia di Airoldi (fingendo che sia lui stesso a narrare le proprie imprese sino all'a esaltante ed insieme sfortunata avventura ateniese), ma anche perchè nella sua seconda parte la storia è corredata da una serie di documenti iconografici, riproduzioni d'articoli d'epoca, foto, per lo più vecchi dagherrotipi, e per finire alcuni magistrali articoli, tra cui quello di Gianni Brera (testo integrale) pubblicato su "Il giorno", il 4 novembre 1956.

 

Carlo-Airoldi---il-Viaggio-sino-ad-Atene.gifIl percorso seguito da carlo Airoldi nel suo viaggio pedestre sino ad Atene


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12 giugno 2011 7 12 /06 /giugno /2011 07:30

corridore-di-mezza-via_01.jpgIl corridore di mezza via (Albatros, 2011)  è la prima opera di narrativa pubblicata da Alexander Geronazzo, noto come speaker ed animatore di numerosi eventi podistici friuliani e non solo.
Il Corridore di mezza via è un libro anomalo e non facilmente classificabile: tratta di corsa, ma nello stesso tempo parla di molto altro. E' un romanzo, eppure nello stesso tempo non lo è, perchè assomiglia piuttosto ad un diario, ma è anche enunciazione di scelte di vita e percorso formativo. Scritto con una prosa scorrevole, viene proposto dall'Autore come romanzo, nel quale si enuncia - tra presente e passato - una tranche della storia di vita di Pino Venanzio runner di mezz'età con la passione per la montagna e per i luoghi ancora relativamente incontaminati dei monti friuliani (con una puntata sull'Appennino tosco-emiliano che descrive una partecipazione del Pino alla prima edizione della Abbots' Way), ma è in realtà il bel diario di vita dello stesso Alex Geronazzo che si intravede appena dissimulato dalla finzione letteraria del suo personaggio, anche perchè la storia ricalca punto per punto esperienze realmente vissute dallo stesso Alex, a partire dalla passione per la corsa sin da giovanissima età (sia come runner sia come speaker di eventi podistici), a quella per la camminate in altura (che si sposa con l'accettazione del rispetto della montagna e della natura, armonizzate in filosofia di vita), sino a quella - recentissima - per il Nordic Walking che lo ha portato a diventare istruttore in questa disciplina (dopo un felice incontro con Pino Dellasega), in cui è come se il camminatore/escursionista - attraverso l'estensione degli arti superiori fornitagli dalle bacchette-protesi - ritornasse a camminare a quattro gambe, in un magico ritorno, da adulto, al gattonamento dell'età infantile.
presentazione-a-Pontremoli-Corridore-di-mezza-via.JPGIl libro (in verità non opera prima in assoluta di Geronazzo che aveva già dato alle stampe un volume di poesie "DiVerso... InVerso, edito nel 2008) è nato da un progetto web - un vero e proprio work in progress, con una serie di puntate successive - approdato successivamente alla pubblicazione a stampa dopo aver ricevuto oltre diecimila visite e, contestualmente, adattato per la messa in scena teatrale dall'attore Franziskus Vendrame, con l'aggiunta di musiche, canti, atmosfere sonore.
Il volume è stato presentato anche alla vigilia dell'Abbots' Way 2011 a Pontremoli, nello storico Teatro della Rosa. Una presentazione-spettacolo, per la verità, che ha ricalcato - o meglio - sintetizzato alcuni dei momenti topici della spettacolazione che Alex Geronazzo ha creato partendo dal suo libro, con la collaborazione di Franziskus Vendrame, autore di una delle due prefazioni che corredano il volume.
 

Questa la presentazione nella quarta di copertina
Un libro come un lungo, tonificante cammino, con momenti di accelerazione e altri in cui invece i tempi si dilatano, tra panorami sorprendenti che si scoprono poco a poco, cime che si intravedono e poi quasi si toccano, e perfino abissi che si schiudono improvvisi dinnanzi al passo che si stava per compiere. Uscito dalla penna di un commentatore "on the road", Alexander Geronazzo, del canale "orale", di cui in qualche modo è figlio, questo testo conserva un'eco profonda, nell'attenzione al racconto cronachistico. L'autore "viaggia" accanto al suo protagonista, Pino, appassionato di montagna, e alla sua compagna Gian, attraverso gli affascinanti sentieri delle Prealpi. Gli sta accanto in ogni loro uscita, come un commentatore invisibile, li vorrebbe mettere in guardia dagli ostacoli a volte, altre incoraggiarli. Geronazzo fissa così sulla pagina una sorta di "radiocronaca", che però sa andare anche molto a fondo.

L'incipit. Sentite la mia idea... Lasciate da parte tutto ciò che di reale e materiale avete addosso e calatevi nella parte dei bimbi d'una volta che si lasciavano "cullare" dai racconti dei nonni... Questo dovrebbe essere...Io seduto su una poltrona a dondolo , a fianco d'un caminetto acceso...Il rumore scoppiettante del castagno secco che arde sopra il braciere...e voi, adagiati sulle vecchie poltrone, ricoperte da antichi plaid a quadrettoni, poste a semicerchio di fronte al narratore...una teiera fumante e un pò di voglia di sognare, viaggiando con la fantasia, nelle altrui spoglie, in posti reali dentro una storia inventata e romanzata...magari colorita con gli errori tipici della frenesia di chi vuol scrivere di getto, per non scordarsi il pensiero che transita nella sua mente. Ah, quasi dimenticavo, se siete lettori pretenziosi, allora pensateci bene...Io sono un misero operaio, scrittore solo nel momento in cui digita sulla tastiera...Non ho pretese, siatene partecipi...

 

Insomma, la proposta che l'autore ci fa nel suo incipit è quello di voler leggere il suo libro, come se si trattasse della collezione di una serie di racconti raccontati da un nonno davanti al camino, copme si usava fare un tempo, nelle lunghe serate trascorse daventi al tepore del focolare domestico.
In effetti, ogni brano può anche essere letto autonomamente e si può entrare ed uscire nella tessitura narrativa in ogni punto, leggendo "Il corridore di mezza via", a partire dalla fine o da metà, e poi saltando a pie' pari a metà, in un gioco continuo di rimandi.
A fare da collante è l'oscillazione continua tra presente e passato di Pino Venanzio ("avatar" di Alex Geronazzo), che tra una corsa e una camminata (condivise con la moglie e con amici), compie un suo percorso esistenziale decidendo di avvicinarsi un po' di più alle montagne friuliane, eleggendole a suo domicilio esistenziale, dopo averle sperimentate come teatro di corsa.
alba-cristo-pensante-1.jpgIn questo senso, il libro di Geronazzo è un grande omaggio ai luoghi di cui - per il tramite di Pino Vennzio - egli mostra di essere un appassionato conoscitore: sono davvero splendie le pagine in cui si descrivono alcuni dei luoghi della Grande Guerra, con ruderi di fortificazioni, gallerie strappate alla dura pietra della montagna, ossari, sepolture dedicate al Milite Ignoto. Per non parlare della lunga camminata sino alla singolare - gigantesca - statua del Cristo Pensante di Monte Castellazzo (che è stato oggetto d'un libro dal titolo "Il Cristo pensante delle Dolomiti. La storia, il trekking e il misterioso richiamo di Medjugorje" scritto da Pino Dellasega, istruttore di Nordic Walking e autore di una delle due belle prefazioni che corredano "Il corridore...".

Per saperne di più sulle molteplici attività di Alex Geronazzo è possibile visitare la sua pagina web

 

Nel video che si può vedere a questo link, Alex Geronazzo viene intervistato da Donatella Boldo, per Radio Belluno. Sullo sfondo, le immagini ufficiali fotografate dal photo artist Paolo La Placa e le note della Premiata Forneria Marconi.



 


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4 giugno 2011 6 04 /06 /giugno /2011 16:51

Prendo-la-bici-e-vado-in-Australia.jpg"Prendo la bici e vado in Australia. Da Brescia a Melbourne alla ricerca della felicità" (Ediciclo, 2011) è il diario di viaggio di Francesco Gusmeri, ex magazziniere e adesso operatore socio-sanitario.

Un'impresa estrema, come dice l'autore, alla ricerca della felicità, in cui ciò che conta sono il viaggio e le esperienze che questo ci regala, più che il raggiungimento della meta prefissata e che, indubbiamente, rinverdisce l'impresa di Annie Londonderry che, da vera antesignana, all'inizio del secolo appena trascorso, fece il giro del mondo in bicicletta da sola e con pochi mezzi (Peter Zeuthlin, Il giro del mondo in bicicletta. La straordinaria avventura di una donna alla conquista della libertà, Eliot, 2011).

Un "viaggio della vita" sognato per quasi cinque anni; un'idea che non è rimasta sulla carta ma si è concretizzata in un lungo balzo verso oriente di quasi 30.000 chilometri. Sarà il viaggiare in sé e non raggiungere la meta, Melbourne, a dare sollievo a Francesco Gusmeri, giovane cicloviaggiatore in cerca di una serenità che solo la strada potrà regalargli. Insieme a lui saliremo in piedi sui pedali lottando contro le salite turche e la neve del Pamir, gesticoleremo tentando di farci capire da burbere o losche guardie di frontiera, supereremo i 7690 chilometri di strade cinesi passando dal deserto alla giungla tropicale, arriveremo infine in Australia dove accarezzeremo un'idea ancora più folle di quella di essere partiti: restare all'altro capo del mondo per non tornare più. La bicicletta ancora una volta si rivela così strumento di diserzione e conoscenza.

Quello che segue è un piccolo assaggio del libro di Gusmeri.

 

Con quel mix fantastico di slancio verso nuove avventure e inquietudine per l’ignoto, il primo ottobre lascio Kashgar e imbocco la temuta e interminabile statale G315, nota come South Taklimakan Desert Road. Sulla mia mappa stradale appare come una solitaria linea rossa in mezzo al nulla. Mentre lascio la città mi ripeto i calcoli che sto facendo da settimane, secondo i quali dovrei riuscire a raggiungere Xining in circa quaranta giorni. Sarà la mia Quaresima cinese. L’ampia carreggiata asfaltata lascia ben presto il posto a un’angusta corsia, con fondo ruvido e gobboso, che mette a dura prova braccia e chiappe. La prima pietra miliare della statale indica che da qui a Xining ci sono 3009 chilometri.

Dopo appena mezz’ora di tragitto, i palazzoni piastrellati di Kashgar sono un ricordo già sfumato nel tempo: mi ritrovo immerso in un mondo contadino, punteggiato da fiorenti villaggi con casupole di legno e argilla e suggestivi viottoli affiancati da alti filari di pioppi. Lungo la strada la maggioranza dei mezzi di trasporto è costituita da carretti trainati da asinelli che conducono i contadini e le loro mercanzie dai campi al mercato. Il traffico automobilistico è scarso ma risulta comunque pericoloso a causa della velocità dei veicoli, benché la segnaletica stradale sia buona e vi siano parecchi cartelli indicanti il limite di velocità. Pedalo tutto il giorno con il vento contrario in un continuo alternarsi di zone abitate e tratti di deserto sassoso. Dove l’uomo è riuscito a rendere fertile il terreno, grazie alle canalizzazioni, ci sono villaggi, vegetazione, vita. Per il resto, il vento e la sabbia invadono tutto. Più deserto di così, non si può.

 

Come se questo non bastasse, devo lottare contro un forte vento contrario. Sebbene la strada sia completamente pianeggiante, non riesco a spingere oltre i dieci chilometri orari e la sabbia, sospinta da turbinosi mulinelli, mi arriva violentemente in bocca e negli occhi. Procedo così per circa quattro ore. È un’agonia. La mia fame di chilometri viene messa a dura prova. Le energie mentali, in questi frangenti, diventano più importanti di quelle fisiche, e sono i pensieri, più che gli zuccheri, a rifornire i muscoli di energia. Pensieri liberi e inquieti, come il vento che mi sta sferzando. Scaturiscono dal doppiofondo del cervello, un solaio virtuale di cui non si apre quasi mai la porta. In una situazione del genere, il mio mostriciattolo si scatena, come uno squalo che sente l’odore del sangue. Diventa furioso, cattivo. E ogni volta che una raffica di vento mi frusta rabbiosamente il viso, lui scava ancora più nel profondo, solleva coperchi e ricordi, apre vasi e paure, rispolvera offese, angherie e frustrazioni. Le vecchie ferite sono un ottimo combustibile per andare avanti. E io sono consapevole di avere delle discrete scorte di questa benzina. Ma non sono sicuro che mi basteranno per venire a capo di questo deserto infinito.

 

Fino all’oasi di Guma non trovo più un filo d’erba. Mentre pianto la tenda a ridosso di alcune abitazioni in questa oasi in pieno deserto mi accorgo che le scarpe stanno pestando un praticello spelacchiato. Che bella sensazione! Sono già nel sacco a pelo quando, a distanza molto ravvicinata, sento le voci di alcuni ragazzini che devono essersi accorti di un’insolita presenza. Spengo immediatamente la torcia e torna a regnare il silenzio, poi mi addormento sotto un cielo meravigliosamente stellato. Ma alle due il cielo si è coperto e, dal deserto, mi accorgo che sta per arrivare una specie di nuvolone. Non capisco che cos’è, ma mi rintano in tenda cercando di sigillarmi dentro il meglio possibile. Dopo mezz’ora una bufera di vento e sabbia imperversa con inaudita violenza. All’inizio temo di essere spazzato via dalla furia del vento ma, dopo un paio d’ore d’angoscia, riesco perfino ad addormentarmi nel baccano del mio involucro. Al mattino ritrovo bagagli, bicicletta e tenda avvolti da una coltre di sabbia sottilissima. Prima di ripartire, oltre a ripulire tutto, devo rimettere un po’ d’olio alla catena impolverata e rinsecchita. Alle prime luci del giorno l’anziano contadino del vicino casolare si è accorto della mia presenza e, con aria prima sospettosa, poi piena di curiosità, presiede immobile a tutte le operazioni di smontaggio della tenda e preparazione dei bagagli. La sua compagnia muta mi fa piacere e, quando arriva il momento di partire, vorrei avere ancora qualcosa da preparare per stare con lui qualche minuto in più.

 

francesco-gusmeri-uno.jpgNota biografica sull'autore

Francesco Gusmeri è nato a Brescia nel 1971. Geometra, è stato magazziniere e operatore socio sanitario. Dopo aver lavorato e risparmiato per cinque anni, dopo aver sperimentato l’ebbrezza di un altro viaggio lungo e solitario sulle due ruote dall’Italia a Capo Nord, Francesco ha mollato tutto per realizzare un sogno: andare in bici fino in Australia. Prendo la bici e vado in Australia (Ediciclo, pp. 240, 16,50 euro), in uscita il 1 giugno, è il racconto di questo viaggio avventuroso «da Brescia a Melbourne alla ricerca della felicità». Che alla fine, scopre l’autore, non è uno stato di grazia da conquistare, ma piuttosto la voglia di tornare a casa per poi mettersi di nuovo in viaggio. In questo estratto, Francesco affronta il deserto cinese del Taklimakan, fatto di sassi, sabbia e vento.

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3 giugno 2011 5 03 /06 /giugno /2011 01:00

arte-camminare.jpgE' uscito da pochi giorni in tutte le librerie italiane il libro di Luca Gianotti, dal titolo "L'arte del camminare. Consigli per partire con il piede giusto", con prefazione dello scrittore Wu Ming 2 (Ediciclo Editore).

Il libro, scritto con linguaggio essenziale, vuole essere un piccolo manuale zen per camminatori. Sia per camminatori esperti, che troveranno stimoli di approfondimento, sia per camminatori agli inizi, per chi ad esempio vuole percorrere il cammino di Santiago di Compostela ma non trova il coraggio di farlo perchè non si sente all'altezza.

La prefazione di Wu Ming 2 è una piccola fenomenologia del camminare, partendo da cosa il camminare non è.

Il libro di Luca Gianotti va a colmare un vuoto del mercato editoriale, dove si trovano manuali tecnici, ma dove mancava un manuale che aiutasse a riflettere su come camminare con consapevolezza, con presenza mentale, utilizzando anche tecniche di meditazione, per vivere il cammino come esperienza profonda e terapeutica; un libro dove si riflette anche sul tema dell'impatto dell'essere viaggiatori e di come essere viaggiatori consapevoli, solidali e responsabili.

Altri temi del libro sono il camminare con i bambini, con gli asini, come preparare uno zaino, come leggere il cielo, come evitare i pericoli, cosa mangiare in cammino, quali erbe raccogliere lungo il percorso, e altro ancora.

Ma sempre con l'obiettivo di vivere il qui e ora del nostro cammino, che è sia cammino fisico che interiore. E con lentezza, perchè rallentare ci aiuta a vivere meglio.

 

La scheda editoriale. Viaggiare camminando vuol dire entrare in contatto con la Terra, che calpestiamo passo dopo passo, e con la sua Natura a cui abbandonare i nostri sensi per farsi accogliere da Lei in un abbraccio ristoratore e rigenerante. E dunque abbracciare un albero, dormire sotto le stelle, ascoltare il silenzio, annusare e assaggiare le erbe incontrate, bagnarsi nei torrenti o nelle calette isolate dei mari mediterranei, ammirare il volo di un rapace, sono tutte emozioni che ci riempiono di energia.

È un viaggiare a bassa velocità, e quindi è la forma di viaggio che consente maggiormente un approfondimento verticale dei luoghi attraversati.

Il camminare si è evoluto, in questi anni, da attività sportiva e performante (arrivare sulla cima) a attività di vagabondaggio, spirituale, di crescita interiore.

Il camminare sempre di più è un gesto rivoluzionario, controcorrente, ma anche un bisogno profondo che torna a galla. Di tutto questo vogliamo parlarvi, introducendovi a questa nobile arte.


Il libro si trova anche sui più importanti siti di acquisto libri on line, il prezzo di copertina è 14,50 euro.

 

Per approfondimenti, vai al sito web Luca Gianotti e l'arte del camminare

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25 maggio 2011 3 25 /05 /maggio /2011 06:36

zatopek-large.jpgDopo Correre (Adelphi per la traduzione italiana) il bel libro, sintetico, ma intenso di Jean Echenoz, esce proprio in questi giorni un'altra opera dedicata a Emil Zatopek che nel titolo riprende il nomignolo di "locomotiva umana" che gli era stato dato per ben rappresentare le sue inimitabili qualità di corridore di lungo corso, sempre generoso e capace di dar fondo a tutte le sue risorse nelle sue gare la cui ultima parte correva spesso in solitaria, spingendo e spingendo a ritmo forsennato.

Chi ama lo sport e le grandi storie di vita non può perdersi, quindi, Zátopek, la Locomotiva Umana di Marco Franzelli.  Una delle voci storiche dello sport televisivo racconta la straordinaria vita di un uomo che, operaio in una fabbrica di scarpe nella Cecoslovacchia ante seconda guerra mondiale, scopre per caso la passione per la corsa.

E da allora, in un crescendo incredibile di allenamenti massacranti, diventerà il protagonista dell’atletica mondiale con vittorie storiche e straordinari record.

 È una storia di impegno, quella di Zátopek. Determinato, ironico, consapevole dei propri limiti ma tenace nel superarli. Con la sua corsa instancabile e il suo stile unico, “la locomotiva umana” stupisce e conquista ancora oggi gli appassionati di tutto il mondo.  Quel suo volto che la fatica e la sofferenza deformano in smorfie tremende, sicché tu pensi che da un istante all’altro debba crollare, e invece aumenta il ritmo, non si sa come, e attacca, e insiste finché non stronca e travolge.

Con il ritmo incalzante delle sue telecronache, Franzelli snocciola le grandi imprese di Zátopek: dalle prime vittorie nelle gare amatoriali ai primi titoli ufficiali, ai record, al  primo oro olimpico a Londra nel 1948, fino al trionfo Helsinki nel 1952, dove mise a segno la mitica tripletta olimpica vincendo l’oro nei 5mila, 10mila e Maratona.

E' un racconto di sport che è anche una galoppata nella storia del Novecento: l’occupazione nazista della Cecoslovacchia, le speranze del dopoguerra, il gelo della Guerra Fredda, i giorni della Primavera di Praga, che videro Zátopek prendere coraggiosamente posizione in difesa della democrazia. Sullo sfondo di questi avvenimenti la vicenda di Zátopek si impone come un esempio tanto nelle clamorose vittorie quanto nelle sconfitte, restituendo allo sport il senso più alto e formidabile di scuola di vita.

 

Si veda un precedente articolo che recensisce Correre di Jean Echenoz (su Italiainformazioni)

Emil Zatopek: uno dei grandissimi della corsa prolungata tra storia e leggenda

 

zatopek_locomotiva.jpgUscita: maggio 2011
Titolo: Zátopek la locomotiva umana
Autore: Marco Franzelli
Illustratore: Umberto Mischi
Editore: Biancoenero edizioni
Collana: GRANDI! Vite speciali di eroi normali
Euro: 14.00
Note: prefazione di Walter Veltroni
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24 maggio 2011 2 24 /05 /maggio /2011 12:02

Maratoneta_freveletti.jpgLa Maratoneta (Jamie Freveletti, Piemme, 2011, nella nuova collana Linea rossa) è un romanzo la cui potagonista Emma Caldridge, deve la sua sopravvivenza nella difficile situazione che si trova a vivere, proprio alla sua tempra di ultramaratoneta estrema: e le sue doti vengono sottolineate sin dall'inizio. Come in questo dialogo, in cui si parla di lei.

“Che diavolo è un’ultramaratona”? – chiese Banner.

“Una gara di corsa che copre una distanza superiore a 42,195 chilometri”.

Banner non riusciva a credere alle sue orecchie. “Davvero”?

“Lo so che è pazzesco, ma quella donna riesce a correre anche la 100 chilometri”.

(…) “Sì, la signora Caldridge ha partecipato alla Bad Waters 35, una delle corse piu’ faticose del mondo”. (p. 22)

Perché Emma, botanica, biochimica e ricercatrice presso una multinazionale dell’industria cosmetica, ha iniziato a correre? L’autrice ci informa che ha iniziato a farlo per uscire da una grave depressione: “Correre era l’unica attività in cui trovava la pace. E in cui eccelleva. Benché la sua vita quotidiana fosse segnata da una depressione cos’ profonda che i farmaci prescritti dal suo medico non avevano effetto, Emma aveva scoperto che poteva convogliare la sua disperazione nella corsa. Quando correva si concentrava sui muscoli, sul percorso, sul battito cardiaco, sull’idratazione, sull’apporto calorico e sulla distanza e così facendo teneva a bada lo sconforto. Aveva buttato via le pillole e si era allenata sempre di piu’ di settimana in settimana” (p. 42).

Emma attraverso la consuetudine con la corsa che, man mano è divenuta sempre piu’ estrema nelle sue applicazioni, ha rinforzato il proprio corpo, ma soprattutto il proprio Sé, coltivando la resistenza del corpo, ma soprattutto – attraverso l’incremento dei meccanismi della resilienza – la sua capacità di resistenza mentale allo stress e a condizioni ambientali avverse.

E' vero che l'allenamento a correre su lunghe distanze, ancor più se in condizioni difficili e in assetto di autosufficienza è una consuetudine che finisce con il temprare uomini e donne ad affrontare altre prove e a lottare per raggiungere altri traguardi (che non siano soltanto sportivi).

Simili prove sportive (come quelle che vengono attribuite alla nostra Emma, la citata Bad Waters, ad esempio), il corpo e lo spirito vengono temprati, "forgiati" e soprattutto si incrementano i meccanismi naturali su cui si fonda la cosiddetta "resilienza", che è - detto in altri termini - la capacità di resistere a sollecitazioni estreme senza “spezzarsi” (originariamente era un termine ingegneristico utilizzato per descrivere la resistenza dei metalli).

Tutto ciò le tornerà utile nell’avventura che si ritrova a vivere.

Emma tuttavia deve la sua sopravvivenza nell'avventura estrema in cui si trova immessa anche alle sue conoscenze botaniche. E' una ricercatrice e ha studiato le piante e le loro proprietà medicali: questa consuetudine è cruciale per sopravvivere nell'ambiente ostile della foresta amazzonica, per curare se stessa e un altro sopravvissuto al dirottamento aereo (Sumner). Detto questo, Emma si trova ad essere eroe per caso, in cui quasi da sola, rivelando intraprendenza, coraggio e tempra, sgomina tutti per mettersi in salvo e per far fuori i cattivi che vogliono usare - per loschi fini - la sua scoperta (piegandola a divenire un'arma terroristica).

In questo, la vicenda diviene romanzesca e una roba più da film avventuroso e d'azione che narrazione realistica (con qualche elemento alla Indiana Jones, per non parlare del finale alla maniera di un film di James Bond). Il titolo "La maratoneta", non corrispondente a quello originale (che è Running from the devil) , è un ammiccamento a tutti quelli che praticano la corsa, ma anche al piu' famoso romanzo "Il maratoneta" da cui fu tratto l'omonimo film, siano maratone o ultramaratone, o che, comunque, siano interessati a questo settore dell'attività sportiva.

Io l'ho acquistato appunto sospinto da questa molla.

 

Sintesi del romanzo

Emma Caldridge ha trent'anni, è bella e affascinante ed è considerata una delle migliori biochimiche sul mercato. È in volo da Miami verso Bogotà, quando l'aereo su cui viaggia viene dirottato in una delle zone più pericolose della Colombia, un'area controllata da trafficanti di droga e gruppi di paramilitari. Unica tra i passeggeri a riuscire a nascondersi nella giungla sfuggendo a un gruppo di guerriglieri che prende in ostaggio i superstiti all'atterraggio di fortuna, Emma cerca di sopravvivere in una situazione davvero estrema. Il caldo, la mancanza d'acqua e la lunga strada da percorrere metterebbero in ginocchio chiunque, ma lei è forte e determinata, e grazie alle sue conoscenze scientifiche e alla preparazione atletica da runner di ultramaratona riesce a far fronte a tutte le incognite che la giungla nasconde, salvando anche alcuni ostaggi fuggiti nel frattempo dai guerriglieri. Intanto il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incarica Edward Banner, ex militare dell'esercito, di liberare gli ostaggi, apparentemente catturati al solo scopo di ottenere un riscatto. Ma una volta tratti in salvo i prigionieri, Banner si rende conto che la sua missione non è ancora finita. Scopre infatti che Emma non è solo la vittima innocente di un dirottamento, ma anche la geniale creatrice di una pericolosa arma biologica, che rischia di finire nelle mani sbagliate e trasformare la donna nell'inconsapevole pedina di un gioco più grande di lei.

 

Jamie_Freveletti.jpgJamie Freveletti, avvocato, è un’appassionata di maratona e ultramaratona. Dopo la laurea in legge, ha studiato presso la scuola di Studi Internazionali di Ginevra. Vive a Chicago con la sua famiglia. La maratoneta è il suo primo thriller ed è stato scelto tra i “Notable Books” dall’Associazione librai indipendenti americani. Nel 2010 ha ricevuto il prestigioso Macavity Award come “Migliore opera prima”. Questo libro è disponibile anche in versione ebook.

 

 

 

Jamie Freveletti, La maratoneta, Piemme, 2011

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14 maggio 2011 6 14 /05 /maggio /2011 20:26

chilometrotrentaIl 30° km è considerato il "muro" della maratona, cioè il punto in cui scatta qualcosa che può fare crollare di colpo l'atleta che, sino a poco prima, aveva proceduto baldanzoso e fiducioso.
Si dice, proprio per questo motivo che la maratona vera comincia soltanto dopo il 32° km: è proprio il clinamen, il punto oltre il quale si gioca tutta la gara e la possibilità di raggiungere il traguardo. E questo è vero non solo per gli atleti di punta, ma anche per tuti i podisti amatoriali che si cimentano nella distanza di Fidippide.
Quando si verifica la crisi, non c'è niente più da fare.

La si può solamente subire.

C'è chi si ritira, sconfortato.
C'è chi invece rimane eroicamente in gara, sperimentando che quegli ultimi chilometri vengono a costare uno sforzo inaudito e che l'andatura subisce una perdita secca, con un rallentamento di molti decine di secondi al km, se non addirittura di minuti. Ci sono quelli che sono alle prime armi o che non erano sufficientemente allenati, finiscono la loro maratona camminando.
Molti, nel tentativo di metabolizzare questa loro esperienza, si chiedono dopo: "Ma perché sono crollato?"
Nel crollo (o crisi) ci sono in opera due ordini di fattori quelli psicologici (su cui si fonda la cosiddetta "resistenza mentale") e quelli prettamente fisici.
E, per imparare a gestirsi occorre avere ben chiari entrambi gli aspetti e i meccanismi in opera.
Il muro è lo spauracchio di tutti i maratoneti, il crollo improvviso che si manifesta dal trentesimo al trentacinquesimo chilometro; attribuito all'esaurimento delle scorte organiche di carboidrati, esso è dovuto sostanzialmente a due fattori: eccessiva velocità di gara nella prima parte oppure scarso allenamento.
Il libro di Stefano Redaelli, "Chilometrotrenta" (Edizioni San Paolo, 2011) parla proprio di tutto questo, traghettandolo però con maestria sul versante dell'esperienza interiore e della propria formazione.
Radek, un giovane medico polacco disoccupato di 38 anni, viene lasciato da un momento all'altro dalla sua fidanzata Ania. Non riuscendo a capacitarsi di quanto è accaduto, cade in una profonda depressione, dalla quale non si riesce a sollevarsi, sino a che il suo caro amico Robert, vedendolo in questo stato, e prendendo spunto dalla pratica di corsa svogliata che Radek - nella sua depressione e nel disfacimento esistenziale in cui versa - ha mantenuto, gli propone - per rivitalizzarlo - di finalizzare gli allenamenti di corsa alla partecipazione di Cracovia di lì a pochi mesi.
Gli dice che, per riuscire in questo obiettivo, dovrà affidarsi ciecamente in lui e seguire i suoi consigli, indiscriminatamente tutti, abbandonandocisi con fiducia.

Radek accetta: e parte il progetto.
Questo è un dato di fatto, estremamente verosimile: spesso il progetto di partecipare ad una maratona o ad un'ultramaratona scatta per rivitalizzare esistenze sbiadite, per ridarsi tono interiore oppure per trovare un progetto da seguire che aiuti a mettere "in forma" e a ricompattare il proprio Sè acciaccato da esperienze di vita fallimentari o poco soddisfacenti.
Il progetto inizia ed è parte di esso che Radek accetti di rivolgersi ad uno psicoterapeuta e che accetti le indicazioni dietetiche e nutrizionali che l'amico gli fornisce, con il supporto di un medico dello sport.
L'allenamento è regola e disciplina. Anche per questo motivo la maratona serve a rimettersi in linea: non è solo e semplicemente mettersi a fare dell'attività fisica e muscolare, ma a dare un senso compiuto al proprio esistere e, per questo occorre che ci sia qualcuno che faccia se non maestro e guida quantomeno da mentore.
Per farla breve, Radek - con il supporto dell'amico, affronta se stesso in maniera decisiva.
Arriva con tutte le ritualità di una una vera e propria iniziazione al giorno della maratona; la corre, affronta il muro di maratona al 30° km, taglia il traguardo, non con la previsione cronometrica fatta con l'amico a tavolino, ma con un crono più lungo.
La cosa importante è che si sia dovuto confrontare con la crisi e che abbia retto, arrivando comunque, come poteva al traguardo.
E' questo l'insegnamento della maratona che la fa diventare una metafora della vita ed esercizio di crescita interiore.
"Radek non lo sa , o si rifiuta di ammetterlo, ma si è messo su una pista che lo porterà molto lontano. Gli richiederà medie e prestazioni più difficili di quelle standard. e anche di quelle sfidanti, per un atleta. Sono medie per le quali nessuno può allenarsi. Appartengono alla maratona che si corre una sola volta e dura tutta una vita (dalla prefazione di Giovanni D'Alessandro, p. 8)
Il punto focale della narrazione di Redaelli rimane la corsa di maratona e la crisi che Radek deve affrontare al 30° km, ma il romanzo continua ancora per parecchio.
Perchè? Perchè l'autore, con maestria, desidera mostrare l'onda lunga dell'effetto del traguardo ragggiunto e superato dentro Radek nel modulare le sue prossime scelte esistenziali, scelte con le quali dovrà confrontarsi.
L'avere raggiunto il traguardo di maratona, vivendo per questo traguardo una "crisi" è, a tutti gli effetti, un "life event", dopo il quale tutto cambia, in modi sottili; tutto diviene possibile.
E radek, tornando ad esplorare il suo passato prossimo e remoto, si fa una ragione degli eventi che ha subito, recupera dei ricordi fondamentali e cruciali (come ad esempio l'esperienza del Cammino di Santiago, quando doveva decidere quale percorso professionale seguire, una volta finito il liceo e trova la forza di prendere delle decisioni importanti per il suo futuro.
In questo sta la bellezza del romanzo di Redaelli, indubbiamente.
Non nel fatto chje ci sia un lieto fine ordinario, come avrebbe potuto essere per il protagonista il taglio del traguardo della maratona di Cracovia o l'intrapresa da parte sua di una carriera di maratoneta domenicale, portatato a reiterare le sue imprese podistiche, ma senza dargli un senso interiore. Nonnel mettere la parola fine in una ripresa della relazione con Ania. Ma, invece, nel prospettare una scelta, a cui fanno seguito altre scelte che di continuo moduleranno l'esistenza di Radek.
Quando non si tagliano più i traguardi delle gare di atletica - dice il grande campione Pietro Mennea - nella vita ci attendono molti altri traguardi da raggiungere e da superare.

 

Chilometrotrenta. Correre la maratona è una metafora della vita

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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