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17 luglio 2015 5 17 /07 /luglio /2015 06:59
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza

Sylvain Estibal, L'ultimo volo, Ponte alle Grazie

L'ultimo volo (titolo originale: Le dernier vol de Lancaster, trad. di Orietta Mori), scritto dal francese Sylviain Estibal e pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie (2004), racconta la storia di Bill Lancaster (nato il 14 febbraio 1898, a Birmingham, e deceduto nel Deserto del Sahara il 20 aprile del 1933), ex-Ufficiale della RAF, e pioniere dell'aviazione civile, uno di quelli che furono poi definiti "i temerari sulle macchine volanti".

Questo volume l'ho acquistato tempo addietro in un remainder e, finalmente, una volta che nel rimescolamento degli strati archeologici della mia libreria di casa, è venuto alla luce, non ho resistito alla tentazione di leggerlo.
Ed é stata una lettura davvero emozionante. La riproposta del diario di Bill Lancaster, quando agonizzante attende nel pieno del deserto del Sahara dei soccorsi che mai arriveranno.
Bill Lancaster fu un pioniere dell'aviazione e durante la guerra fu arruolato nella RAF. compì delle imprese ragguardevoli tra le quali la traversata in coppia (con la fidanzata Chubbie Miller) da Londra all'Australia, sull'aereo Red Rose.
Successivamente dopo una vicenda di cronaca nera nella quale fu implicato nell'omicidio di un giornalista che, pesantamente durante una sua assenza, aveva corteggiato la sua Chubby.
Al termine del procedimento penale nel quale inizialmente da persona informata sui fatti era divenuto il principale indiziato, venne tuttavia dichiarato innocente in mancanza di prove certe, ma ciò nonostante la stima di cui godeva sino a prima del fatto per via delle sue imprese aviatorie venne ad essere pesantemente intaccata.

In 1932, Lancaster had been in Mexico looking for work. At the same time, Haden Clarke, a male American writer, had been living in Lancaster and Miller's Florida home in order to assist Miller's writing of her autobiography. Clarke and Miller had developed a relationship in Lancaster's absence, and Clarke convinced Miller to leave Lancaster and marry him instead. Upon receipt of this news, Lancaster returned promptly to Florida.
On 20 April, Clarke was killed by a gunshot wound to the head. Despite the facts that the gun was Lancaster's, and that he admitted forging suicide notes found at the scene (one addressed to Lancaster and another to Miller), forensic evidence provided by the prosecution was confusing to the jury.
Albert H. Hamilton, a criminologist with a somewhat sketchy past,[9] provided easy to understand testimony in Lancaster's favor. Additionally, even though Lancaster and Miller had dissolved their romance and partnership, Miller spoke in Lancaster's defense and the trial judge gave a summing up in his favor.
Lancaster was acquitted of murder in just short of 5 hours deliberation. It is regarded that although the evidence was in doubt, a main factor in Lancaster's acquittal was his calm, straightforward, gentlemanly demeanor in the courtroom; and the portrayal of the victim as depressive, drug-addicted and suicidal. Public opinion may also have played its part in influencing the jury; indeed, at one point the behavior of those in gallery became so unruly (cheering for Lancaster), that Judge Atkinson interrupted with a firm, "This is not a vaudeville show!" (da Wikipedia)

 

Decise, nel 1933, di acquistare un aereo - con il supporto dei suoi familiari - e di partire alla ricerca di un nuovo record: la trasvolata da Londra a Città del Capo nel tempo più breve.

Ma, poco dopo la sosta ad Orano (Algeria)  e a Reggane, dove si presentò con un marcato ritardo rispetto alla tabella di marcia, avendo ripreso il volo - forse affrettatamente e senza aver fatto tutti i dovuti controlli e soprattutto senza aver riposato adeguatamente. qualcosa andò storto e di lui si persero le tracce.
Vennero intraprese delle azioni di soccorso e di recupero, ma non con la dovuta tempestività forse. In parte per il fatto che le sue tracce si erano perse durante l'attraversamento di una delle zone più inospitale del Sahara (il deserto del Tanezroufts), ma anche perché il suo nome a causa del precedente giudiziario non era ben visto. E, per lo stesso motivo, la fidanzata, non riuscì ad ottenere uno sponsor, tra i tanti che operavano nel campo delle aziende produttrici di aeroplani, si convincesse ad affidarle un aereo per volare alla sua ricerca: una ricerca che, comunque, senza alcuna indicazione anche solo approssimativa sarebbe stata come ricercare un ago in un pagliaio.
Solo 30 anni dopo, un drappello di militari meharisti francesi, in ricognizione, in quella zona desertica, rilevò in distanza un punto nero che, ad un sopralluogo ravvicinato, fu identificato proprio come la carcassa di un aereo di vecchia costruzione.
Accanto all'ombra di un'ala ridotta ad una mera intelaiatura, giaceva il corpo mummificato di Bill Lancaster.
Appeso all'ala, inoltre, fu rinvenuto un involto al cui interno venne rinvenuto il diario, puntualmente tenuto da Lancaster e contenente il racconto, giorno per giorno, della sua lenta agonia, durata ben otto giorni, dai momenti iniziali in cui grande era ancora in lui la speranza di essere tratto in salvo, alle ultime ore, quando - ormai finita la modesta scorta d'acqua - dominavano lo sconforto e la disperazione e i segni della disidratazione si facevano sempre più evidenti ed incalzanti.
Dal diario e da altre scarne annotazioni sparse che egli fece su altro materiale cartaceo che fu trovato nelle sue tasche si potè individuare esattamente il giorno del decesso.
E venero così scartate una volta per tutte altre ipotesi in merito alla sua scomparsa (come quella secondo cui, costretto ad un atterraggio di fortuna fosse stato assalito e ucciso dai Tuareg).

Having got lost several times, having not slept for 30 hours and being ten hours behind his intended time, Lancaster departed from Reggane on the evening of 12 April to make a 750 mi (1,210 km) night crossing of the Sahara. The Avian's engine failed after less than an hour's flying, and he crash-landed in the desert far north of his expected flight path. Relatively uninjured and occasionally firing flares he awaited rescue. Searches by aircraft however were too far to the south, and a car searching from Reggane was also unsuccessful, and he died eight days later, on 20 April 1933. His final message, written on a fuel card on the morning of the 20th, was "So the beginning of the eighth day has dawned. It is still cool. I have no water. I am waiting patiently. Come soon please. Fever wracked me last night. Hope you get my full log. Bill" (da Wikipedia)

Il libro, costruito come un memoir-collàge che si basa su proprio su quei diari che, dopo gli esami medico legali, vennero restituiti ai familiari e, successivamente, pubblicati integralmente. E ad ogni nota diaristica fanno da contrappunto articoli di giornale, lettere scritte da Chubbie Miller illustranti i suoi disperati tentativi di ottenere un aereo per partire alla ricerca del suo amato, lettere scritte da un ufficiale francese meharista di stanza in un avamposto francese, non distante dal luogo dell'incidente e indirizzate alla sua sposa lontana in terra di Francia.
E' una lettura struggente che parla di una caparbia lotta per la sopravvivenza sino all'accettazione del fatto - ineludibile - di dover soccombere, quando ogni ragionevole speranza di essere salvato si era ormai dileguata, lasciando tuttavia una traccia indelebile della propria lotta.
Attraverso le pagine del volume, seguiamo la sua agonia giorno per giorno, con le sue stesse parole: in contemporanea, l'autore - con licenza letteraria, ma con aderenza ai fatti storici  -ricostruisce lo scenario nel mondo circostante, raccontando delle ricerche che non furono mai condotte con vera determinazione, delle incertezze e delle colpevoli esitazioni (in arte motivate dalla necessità di non sprecare altre vite in un'inutile ricerca)la storia d'amore tra Chubbie Miller e il pilota britannico sino allo sfortunato evento giudiziario che gettò un'ombra su di lui e creò uno stigma dal quale dipese in gran parte la tiepidezza dei soccorsi.
Una storia tragica, che è anche una palpitante storia d'amore.
Come si diceva, le deroghe alla storia reale sono poche e servono soltanto ad accrescere il pathos della vicenda, soprattutto quando Sylvain Estibal immagina che Chubbie sia riuscita ad ottenere un aereo scalcagnato e che giunga direttamente sul posto per tentare di portare le richerche da sola: ed è anche frutto di fantasia l'estremo tentativo di Chubbie di andare ala ricerca del suo Bill a dorso di cammello, perlustrando il deserto con l'aiuto del meharista Chauvet invaghitosi di lei.
La verità assoluta è nei diari di Bill Lancaster che furono pubblicati integralmente poco dopo il loro rinvenimento da Paris Match e che, successivamente, furono integralmente utilizzati nella biografia su di lui, scritta da Ralph Barker.
Del pari reali sono certi articoli di giornali dell'epoca, il cui testo viene riportato, mentre tutto il resto come lettere ed epistolari di vario genere sono frutto interamente della fantasia dell'autore, per quanto assolutamente verosimili e coerenti con la vicenda.
Dal punto di vista formale, la narrazione procede con la scansione temporale dei diari e, ogni giorno trascorso nel deserto, costituisce un capitolo: ogni capitolo presente in epigrafe delle strofe struggenti tratte da canti tuareg che fanno da "soglia" e da"commiato" ad ogni singolo capitolo.

(Dal risguardo di copertina) Nel febbraio 1962, in pieno Sahara algerino, una squadra dell'esercito francese scopre la carcassa di un aereo da turismo precipitato nel 1933 e mai ritrovato. Il pilota Bill Lancaster era partito da Lympne, in Inghilterra, diretto a Città del Capo, per tentare di battere il record di volo, stabilito su quel percorso. Appena diffusa la notizia dell'incidente, inizia una corsa contro il tempo che ha per protagonista la fidanzata di Lancaster, anche essa aviatrice, immediatamente partita per le ricerche e lo stesso pilota, attraverso le pagine del suo diario. Un libro d'avventura e d'amore, ma soprattutto un'ode al deserto, amato e odiato, che affascina e disorienta cambiando per sempre le vite di coloro che lo affrontano.

 

L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
L'Ultimo Volo. La tragica storia di Bill Lancaster: amore e resilienza
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Sylvain Estibal

Sylvain Estibal

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8 giugno 2015 1 08 /06 /giugno /2015 05:29
Sacro Romano GRA. Peregrinazioni ed incontri lungo il Grande Raccordo Anulare di Roma: un libro che è diventato film

Sacro romano GRA. Persone, luoghi, paesaggi lungo il Grande Raccordo Anulare, scritto da Nicolò Bassetti e da Sapo Matteucci (Quodlibet, collana Humboldt, 2013) è il frutto di assidue e lunghe peregrinazioni lungo il Grande Raccordo Anulare (GRA) di Roma, alla ricerca di luoghi e di persone che vivono ai margini della grande metropoli,con delle risonanze che sono assime geografiche-topografiche,ma anche socio-antropologiche. Nel primo ambito, c'è una forte assonanza con i diari di viaggio di William Least Heat Moon, nel secondo caso risuonano alcune magistrali prove di ricerca antropologica sul "vicino" inaugurata da Marc Augé.
Il volume di Nicolò Bassetti e Sapo Matteucci è stato pubblicato nel 2013 e non è un'idea originalissima, ma in ogni caso espressione di uno strumento di ricerca già variato per una simile location in altro ambito.
Infatti, nel 2010 era già uscito "Tangenziali. Due viandanti ai bordi della città" di Gianni Biondillo e Michele Monina, la cui idea era stata quella di percorrere a piedi il territorio ai confini con le tangenziali di Milano.
Quella sviluppata con "Sacro Romano GRA" è stata sostanzialmente la stessa idea di "Tangenziali", ma applicata al Grande Raccordo Anulare di Roma.
Non è un lungo cammino quello che vi viene descritto, ma una sequenza di visite successive, con tutti i mezzi possibili, auto, moto, mezzi pubblici, ma soprattutto a piedi.
Parallelamente alla scrittura di questo libro, è stato realizzato da Gianfranco Rossi un film documentaristico, presentato poi al Festival del Cinema di Venezia [il film ha poi vinto l'ambito "Leone d'Oro" e dal 19 settembre 2015 sarà in programmazione nelle sale cinematografiche]
Il libro è ricco di storie e di incontri, ed è scritto in modo piacevole: la lettura scorre bene, tra borgate improbabili, quartieri dormitorio, aggregati urbani cresciuti in modo incontrollato, alcuni nati dall’abusivismo, altri dalla cementificazione successiva. Nomi come Laurentino 38, la discarica di Malagrotta, Massimina, Nuovo Corviale, l’isola dei lampadari…
Ma oltre al cemento c’è la campagna, aziende agricole dentro il raccordo, luoghi magici che nessuno si aspetterebbe vicino alla grande striscia di asfalto su cui scorrono senza sosta automobili e camion, la foce del Tevere e i fiumaroli, il Casale del Marmo, la tenuta Valchetta-Cartoni, l’Insugherata.
Il camminare è anche questo, poiché consente di scoprire la natura selvaggia e incontaminata, ma anche di scoprire con occhio nuovo quelli che solo apparentemente sembrano non-luoghi, e che invece visti da vicino, al ritmo lento di 4 km all’ora sono oasi, isole, storie, e persone. Bassetti è un paesaggista e si dedica professionalmente al recupero di aree dismesse, e quindi sa leggere e raccontare con occhio attento questo paesaggio post urbano e pre urbano insieme. Anche senza conoscere Roma e i luoghi raccontati, il libro fa riflettere e fa venir voglia di vederle queste borgate e queste periferie, camminandoci dentro.


(Dal riguardo di copertina) A piedi e con altri mezzi (autobus, metropolitana, treno) alla scoperta del territorio lungo il Grande Raccordo Anulare. Le cave romane di tufo rosso che hanno ospitato carnevali ottocenteschi; il mondo lunare di Malagrotta, la più grande discarica d'Europa; la fattoria modello di Mussolini; i piccoli e grandi accampamenti; le tombe pop del Cimitero Laurentino; la guerra per le anguille sul Tevere; le vecchie borgate dei braccianti e le gigantesche architetture sociali; le transumanze dei pastori e le oasi equatoriali. Un lento viaggio in una Roma sconosciuta e contemporanea, fatta di esperimenti, abbandoni, peripezie, fallimenti e riscatti.

La presentazione congiunta del libro Sacro GRA e del film omonimo da parte di Gianfranco Rosi (regista) e Nicolò Bassetti (uno degli autori)

Il trailer ufficiale

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7 giugno 2015 7 07 /06 /giugno /2015 21:37
La Spirale della Memoria. In cammino sulle tracce del terremoto della Marsica: scrutare nel passato per imparare ad affrontare il presente

E' uscito recentemente per i tipi di Edizioni dei Cammini (2015), La spirale della memoria. In cammino sulle tracce del terremoto della Marsica di Luca Gianotti (volume incluso nella collana "Wanderer").

(Dal risguardo di copertina) A 100 anni dal terremoto che il 13 gennaio 1915 sconvolse la Marsica, Luca Gianotti ha deciso di ripercorrere un itinerario che si snoda tra i paesi che ne furono maggiormente colpiti. Camminando in un percorso a spirale, egli ha visitato e incontrato luoghi e persone che hanno vissuto quel momento tanto drammatico.
La terribile sciagura, infatti, catalizzò l'interesse generale su una regione che resta ancora oggi un buco nero nella geografia del nostro Paese.
Con la passione e la determinazione di uno storico di altri tempi, ma anche con lo spirito di un vero e profondo camminatore, Luca Gianotti ha cercato di sollevare il velo pesante che grava su questa terra, bella e selvaggia - e per molti aspetti ancora ignota 
- e con questo "oggetto narrativo non-identificato" è riuscito a comporre un ritratto muliebre e affascinante, ricco di suggestioni letterarie, storiche e psicologiche.
Alle storie "minori" di persone e paesi s'intrecciano dunque quelle di personaggi noti che, allora, decisero di impegnarsi in prima persona per aiutare la Marsica sconvolta dal terremoto; da Ignazio Silone a Don Orione, agli irredentisti triestini Nazario Sauro e Scipio Slataper, all'amico di D'Annunzio Giovanni Giurati, a Giovanni Cena e a molti altri ancora.

"Camminare", dice Gianotti, "serve a entrare in profondità nei luoghi, e nelle storie. Guardando al passato si può volare verso il futuro, con animo positivo e cuore sereno"

Marcella Terrusi, docente di Letteratura all’Università di Bologna, ha scritto qualche libero pensiero dopo la lettura del nuovo libro di Luca Gianotti

La prosa di Luca Gianotti ha il ritmo umano e cadenzato dei passi in cammino: la prosa ha la forma insieme intima e rigorosa di una lettera, perché il racconto si rivolge alla seconda persona del protagonista, come a verificare ad ogni periodo, con attenzione, l’appoggio del piede, l’energia della spinta, il rigore della parola scritta.La voce dell’autore dialoga con altre voci, accoglie passi di altre scritture, che si muovono nello spazio della storia, della letteratura, del giornalismo: voci che sono giustapposte con grazia, ad offrire un affresco del discorso complessivo dedicato al terremoto della Marsica, elaborato in 100 anni di storia, e vasto come tutti i chilometri che uniscono questo luogo, fra nord e sud, nella parte remota della coscienza di un paese, con il New York Times, con altri eventi sismici ed altri racconti umani, intellettuali come Wu Ming 2 e Ignazio Silone, le domande incessanti degli uomini sul loro essere animali, sul loro essere umani, sul loro essere in movimento, sul loro fronteggiare la paura della crisi che tutto stravolge, in trenta secondi, che sia il terremoto o la paura, il terremoto del cuore.
È il presente ad essere raccontato, ad ampio giro, come il periplo a spirale del viaggio, che unisce in 15 giorni di cammino i luoghi storici colpiti dal terremoto del 1915 in Abruzzo.
Questo ritmo dinamico che unisce ieri e domani, adesso e mai più, è quello di un camminatore scrittore, capace di vivere un presente narrativo che dà corpo ad un racconto coerente, con andatura costante, gradevole, garbatamente ribelle, tenacemente spinto dal desiderio di capire, di conoscere, di ricostruire senza semplificazioni, di ricordare senza pietismi, di andare avanti con la consapevolezza che anche l’identità è un elemento in divenire, oggetto e soggetto di conquista. Le risorse del binomio fra cultura e cammino a piedi, sono fuse nell’esperienza raccontata, che è di unità fra intelletto, cuore e corpo e che offre un modello possibile di recupero di una misura umana del proprio andare. Una misura umana che gioca con le storie, non teme i lupi perché della natura si fida, come dice Gianotti, ma passeggia fra lupi insieme archetipici, autentici e cinematografici perché sa che l’orizzonte del paesaggio umano è questo insieme di memoria, sogno e presente che l’immaginario collettivo nella letteratura riesce a tracciare, nei percorsi delle parole, invitando ad altri cammini aperti, ad altri passi.
Lo sguardo di Gianotti, che cammina rispettosamente in un territorio, quello abruzzese, che non è il suo, si giova di questa estraneità, e mi ricorda la modalità dello “straniero partecipante”, definizione che Lapassade utilizza nel suo Mito dell’adulto, come modalità di uno sguardo obliquo capace di cogliere visioni non rese opache dall’abitudine. E se “adultus” significa etimologicamente terminato, finito, allora il cammino di Gianotti, la cultura del cammino, contiene una cifra rivoluzionaria che si offre come risorsa per la vera e propria urgenza pedagogica di una “riconnessione”, uno dei temi centrali della riflessione sull’immaginario dell’esperienza e della crescita all’aperto, outdoor education. L’orizzonte vasto del camminatore e del narratore sono inviti ad alzare lo sguardo dai tablet e dai computer e accettare la costitutiva incompiutezza dell’uomo per viverla nella sua pienezza, in ascolto dell’anima mundi per recuperare le connessioni fra voci, persone, storie, luoghi, memorie, sorrisi, desideri e sogni indispensabili per costruire il domani.

 

La Spirale della Memoria. In cammino sulle tracce del terremoto della Marsica: scrutare nel passato per imparare ad affrontare il presente
La Spirale della Memoria. In cammino sulle tracce del terremoto della Marsica: scrutare nel passato per imparare ad affrontare il presente
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6 giugno 2015 6 06 /06 /giugno /2015 06:56
Non ti farò aspettare. La storia, narrata dalla stessa Nives Meroi, dei suoi tre tentativi di scalata del Kangchendzonga, assieme al marito Romano: prima dell'impresa sportiva, amore e dedizione

Nives Meroi (Bonate Sotto, 17 settembre 1961) è un'alpinista italiana. Dal 1989 è sposata con Romano Benet, alpinista, suo compagno fisso di cordata e risiede a Tarvisio (UD). Ha scalato dodici delle quattordici vette sopra gli 8000 m s.l.m. (la scalata dello Shisha Pangma nel 1999 le è stata contestata e poi certificata nel 2007 da parte di Eberhard Jurgalski), tutte raggiunte senza l'uso di ossigeno supplementare e di portatori d'alta quota.
Di grande valore la conquista della cima del K2 del 2006 attraverso lo Sperone Abruzzi. La Meroi e Benet hanno raggiunto la cima da soli, senza l'ausilio dell'ossigeno e senza aiuti nel battere la traccia su tutto il percorso e sull'ultimo arduo tratto della montagna. Nel 2006 solo quattro alpinisti (i due italiani e due giapponesi con l'ossigeno) hanno raggiunto la vetta del K2.
Con la salita in vetta al Manaslu dell'ottobre 2008[3], Nives Meroi è una delle poche donne ad aver conquistato 11 ottomila.
Un numero maggiore di ottomila è stato conquistato solo dalla coreana Oh Eun-Sun, dalla spagnola Edurne Pasaban e dall'austriaca Gerlinde Kaltenbrunner che hanno conquistato tutte le 14 cime. La Pasaban ha utilizzato in due occasioni l'ossigeno, mentre la conquista di tutte le vette per la coreana è controversa.
«Tre alpiniste hanno già scalato undici di quelle immensità e si avvicinano al traguardo. La più forte di loro e di tutti i tempi si chiama Nives Meroi ed è italiana. [...] Perché Nives Meroi ha salito le sue cime asfissianti senza uso di bombole di ossigeno e senza impiego di portatori di alta quota, i climbing sherpa. [...] Le altre due alpiniste intendono diversamente l'impresa, una ha impiegato ossigeno, l'altra adopera portatori di alta quota che si sobbarcano di tutto il peso sulle spalle, scavano la piazzola, montano la tenda e fanno trovare il tè caldo già pronto» (Erri de Luca, in Corriere della Sera, L'intimità domestica sulle cime del mondo Ecco il segreto di Nives, 19 aprile 2009).
Nella stagione estiva 2009 Meroi ha abbandonato il tentativo di scalata dell'Annapurna per le condizioni proibitive della neve[7] e il tentativo di scalata del Kangchenjunga per prestare soccorso al marito, in difficoltà tra il campo 3 e il campo 4 della montagna Ad agosto 2009, in un'intervista all'ANSA e a ExplorersWeb, ha annunciato il proprio ritiro dalla competizione per la prima scalata femminile di tutti gli ottomila della terra.
«L'alpinismo di oggi perde proprio le caratteristiche del gioco come lo intendiamo noi, ovvero esplorazione di sé stessi in contesti diversi. Il fatto che l'alpinismo himalayano femminile sia diventato una corsa con come unico obiettivo il risultato mi ha fatto decidere di non giocare più» (Nives Meroi, in Ansa, Alpinismo: Nives Meroi, mi tiro fuori da corsa a 14 ottomila)
A seguito di una malattia occorsa al marito, in attesa del completamento delle cure, ha sospeso le spedizioni in Himalaya fino al 2011. Dopo un tentativo andato a vuoto sempre sul Kangchenjunga nel 2012 raggiunge la vetta con il marito Romano Benet il 17 maggio 2014.
Le mancano, per completare l'ascesa delle quattordici vette più alte della terra, il Makalu e l'Annapurna.

Nel volume che ha scritto recentemente e pubblicato da Rizzoli (2015), con il titolo "Non ti farò aspettare. Tre volte sul Kangchendzonga, la storia di noi due raccontata da me", Nives Meroi racconta la sua esperienza dei tre tentativi di scalata della vetta del Kangchendzonga e soprattutto dellastoria di una rinuncia per amore e per solidarietà.

Nives Meroi(Dal risguardo dicopertina) Questa storia comincia (male) e finisce (bene) sul Kangchendzonga, la terza vetta più alta della Terra, una delle più difficili da scalare. È una storia epica, non solo di alpinismo, ma soprattutto d'amore e di crescita interiore. Siamo nel 2009 e Nives Meroi è in corsa con altre due alpiniste per diventare la prima donna ad aver conquistato i quattordici ottomila del pianeta. Come ha sempre fatto, affronta il Kangch, la sua dodicesima cima, in cordata con il marito Romano, e senza "sconti": né portatori d'alta quota, né ossigeno. Allo stesso tempo, mentre i media spettacolarizzano l'impresa, Nives non è insensibile alla sirena della fama, che la sta trascinando in un gioco che non le appartiene... Ma, a poche centinaia di metri dalla vetta, Romano non si sente bene e si ferma. Che cosa sceglie di fare, allora, Nives? Proseguire da sola, conquistando un'altra cima utile per la vittoria, come molti le avrebbero suggerito? No, lei non esita: abbandona la gara perché non può lasciare Romano solo ad aspettare. Così si conclude il primo atto di questa vicenda. Ne seguono altri tre in cui entrano in scena la malattia, la complicità, la capacità di attendere, la voglia di reagire senza scoraggiarsi quando si prende una via sbagliata. Per giungere al lieto fine in cui il Kangch si lascia finalmente conquistare da Nives e Romano che, in un confronto leale e puro con la Natura, hanno compreso il senso profondo della vita.
 

Nota bio-bibliografica. Nives Meroi, nata a Bonate di Sotto (BG) nel 1961, è una delle più forti alpiniste donne del mondo. Nella sua carriera ha scalato dodici dei quattordici ottomila della Terra, sempre senza ossigeno né portatori d’alta quota. Suo compagno fisso di cordata è il marito Romano Benet. Per Fabbri nel 2013 ha pubblicato Sinai, scritto con Vito Mancuso. Erri De Luca le ha dedicato un libro: Sulla traccia di Nives (Mondadori 2006).

Non ti farò aspettare. La storia, narrata dalla stessa Nives Meroi, dei suoi tre tentativi di scalata del Kangchendzonga, assieme al marito Romano: prima dell'impresa sportiva, amore e dedizioneNon ti farò aspettare. La storia, narrata dalla stessa Nives Meroi, dei suoi tre tentativi di scalata del Kangchendzonga, assieme al marito Romano: prima dell'impresa sportiva, amore e dedizione

"Salgo senza portatori d’alta quota perché non mi va di mettere a repentaglio la vita di nessuno per una mia scelta. E senza ossigeno, in modo da salire nella maniera più leggera ed essenziale, perché il confronto con la montagna possa essere onesto: vado fin dove mi è possibile arrivare e se non riesco torno indietro, perché il fallimento in certi casi è la vittoria più importante. La scelta invece di vivere tutto ciò con Romano è fondamentale perché se solamente uno dei due vivesse esperienze così profonde, il rischio è che non si parli più la stessa lingua. Il fatto di viverle insieme, oltretutto ciascuno dalla sua prospettiva, dà poi la possibilità di integrarle e far sì che la condivisione diventi ancora più ampia e più ricca. Sono stati tutti quei passi fatti insieme, che ci hanno dato gli strumenti per affrontare quelle che sono, ahimè, le montagne vere della vita: nel nostro caso la malattia di Romano. Ci è venuto naturale affrontarla così come si affrontano tutte le montagne: un passo dopo l’altro, con pazienza e soprattutto senza mai scoraggiarsi. Se riguardo ora da questa posizione un po’ scostata alla scelta di non arrivare in vetta al Kangchenjunga (per un malessere anticipatore della leucemia del marito, rinunciando così alla corsa che la vedeva in lizza per essere la prima donna a conquistare tutti i 14 Ottomila della terra, ndr), mi rendo conto che con quel gesto ho dato il mio senso alle montagne che ho salito, così come a quelle che non ho scalato. - See more at: http://www.actionmagazine.it/rubrica/Personaggi/20150530104-nives-meroi/#sthash.fcU5eqDd.dpuf

Nives Meroi (intervista rilasciata a Action Magazine

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5 giugno 2015 5 05 /06 /giugno /2015 16:55
La Corsa di Billy. Una grande romanzo sul mondo dell'atletica USA anni Settanta, ma anche una storia d'amore toccanteLa Corsa di Billy. Una grande romanzo sul mondo dell'atletica USA anni Settanta, ma anche una storia d'amore toccante

(Maurizio Crispi) La corsa di Billy (titolo originale: The Front Runner, 1974), scritto da Patricia Nell Warden e pubblicato da Fazi editore (2007), è un romanzo interessante che si fa leggere bene: e che narra una storia non solo di sport, ma anche d'amore, per quanto concentrata sull'universo gay maschile.

Billy Sive è un atleta promettente e talentuoso, dotato per la corsa. Assieme ad altri due mezzofondisti viene espulso da un college statunitense, perché è emersa la sua omosessualità (e quella di altri due studenti). Giunge così in un nuovo college, che è retto in applicazione di politiche liberali e tolleranti e qui entra in contatto con Harlan, il responsabile dell'atletica, ex-atleta di mezzofondo ed ex-marine,ma soprattutto con trascorsi di omosessualità che - anche ne suo caso - avevano portato all'espulsione da un altro college. Deciso a non compromettere la sua posizione, Harlan decide di trattare con asprezza Billy, reprimendo la forte attrazione che avverte nei suoi confronti. Ma la repressione non porta buoni frutti, al contrario finisce con il deprimere le capacità atletiche di Billy e blocca il suo potenziale.
La storia d'amore ha così il suo libero corso: Billy rifiorisce e riprende a correre come il vento,migliorando sempre di più ed entrando - dopo i trial di atletica - a pieno diritto tra i rappresentanti nazionali per le Olimpiadi di Montreal, in un percorso non semplice che affronta i temi della battaglia grande che, in quegli anni (i Settanta) gli omosessuali dovettero affrontare contro le discriminazioni, le intolleranze e financo le inquisizioni penali (visto che in alcuni degli States l'omosessualità rimaneva ed era perseguita come reato penale).
L'ascesa di Billy diventa anche una battaglia peri diritti dei gay, dopo che lui e Harlan sono costretti dalle circostanze a fare outing e a lasciare che la loro relazione emerga alla luce del sole.

 

Il romanzo affronta indubbiamente un argomento scabroso che può suscitare nei potenziali lettori diffidenze, perplessità, o perfino atteggiamenti di rifiuto, se costoro vivono rigidamente il proprio orientamento eterosessuale. Parla infatti, volendo dare un taglio universale alla vicenda raccontata secondo un'ottica gay, del rapporto stretto ed emozionale che si stabilisce tra un allenatore e l'atleta che egli allena e che, fra tanti, prende a prediligere, sino a a sfociare in una relazione in senso stretto.E che si tratti di amore etero o gay o di secondaria - o nulla - importanza.
Ai tempi in cui venne pubblicato il romanzo della Warren fu di rottura: e fu un romanzo che voleva spezzare più di una lancia contro i temi dell'esclusione e dell'intolleranza contro i diversi (ma anche contro le donne). Se si pensa, ad esempio,che sino ai primi anni Settanta alle donne non era consentito correre la Maratona e che, per farlo, alcune intrepide eroine, dovettero farlo travestite da uomini.
Il romanzo suscitò scalpore, ma rappresentò anche una via di apertura e aprì delle possibilità, incoraggiando alcuni a fare "coming out", manifestando apertamente e senza infingimenti la propria omosessualità.
Ma a parte questo risvolto "sociale" il romanzo della Warren è anche una bella storia di sport con un esito tragico, come avrà modo di scoprire chi lo leggerà, in cui apoteosi sportiva e tragedia umana determinata dalla follia e dall'intolleranza si mescolano indelebilmente.
Ma affronta anche il difficile rapporto tra maestro e allievo che, specie nelle discipline sportive può assumere le connotazione di un rapporto stretto ed intenso non solo sul piano dell'ammaestramento tecnico,ma anche sotto il profilo emozionale, tenendo anche conto che il "maestro" si trova sempre in una posizione delicate e, in qualsiasi momento, potrebbe essere accusato di "plagio" nei confronti dei giovani che gli sono stati affidati.

Il romanzo in traduzione italiana ha visto la luce tardivamente, proprio a causa della scabrosità dell'argomento che trattava, e io stesso prima di avviarne la lettura ho avuto qualche disagio, proprio perché veniva smantellato il tabù che impone di tenere separato lo sport dall'amore, dal sesso e soprattutto da scelte di orientamento sessuale.
Eppure, nel corso della lettura, mi sono dovuto ricredere e, non solo posso dire che le sue pagine mi hanno appassionato e coinvolto, ma che ho anche imparato molto, costretto a mettermi a confronto con le mie personali intolleranze.

Viaggiare seguendo le pagine magistrali di Patricia Nell Warren è un modo per affrontarle e venirne a capo: un percorso cheaiuta a superare stupidi pregiudizi e visioni ristrette del mondo e delle relazioni umane in generale.

(Dal risguardo di copertina) Pubblicato per la prima volta nel 1974, La corsa di Billy è stato il primo romanzo gay a diventare subito un culto, ottenendo un successo internazionale tra il grande pubblico.
A metà degli anni Settanta, l'allenatore Harlan Brown trova rifugio dal suo passato e da se stesso in un piccolo college di New York, dopo essere stato cacciato dalla prestigiosa Penn State University per sospetta omosessualità. Harlan, ex marine di trentanove anni, ha perso tutto - famiglia, lavoro, amici - e ora cerca di mascherare il proprio conflitto sessuale con un'esistenza più spartana e conformista possibile. Si è fatto una promessa e ha intenzione di mantenerla: non innamorarsi mai più di un uomo. La sua vita, però, è sconvolta quando tre giovani atleti si presentano nel suo ufficio: l'esuberante Vince Matti, il timido Jacques LaFont e il ventiduenne Billy Sive, un potenziale grande talento per i diecimila metri. Sono appena stati scaricati da un'importante squadra a livello nazionale per aver ammesso la propria omosessualità. L'uomo è profondamente diviso: se accetterà di allenarli, questo alimenterà le voci sul suo essere gay, ma i tre hanno stoffa e questa potrebbe essere la sua ultima occasione di puntare in alto. Alla fine, poste condizioni ferree, accetta di prenderli sotto la sua ala. Harlan è subito affascinato dal talento di Billy e capisce che il ragazzo ha le qualità per partecipare alle Olimpiadi di Montreal del '76. Ma la sua ammirazione si trasforma presto in un sentimento che non provava da anni e, scoprendo che il suo amore per il ragazzo è ricambiato, deve fare la scelta più difficile della sua vita: combattere i propri sentimenti o uscire allo scoperto e sfidare l'ultraconservatore establishment sportivo. Rischiando di far sfumare per sempre il sogno olimpico dei tre. Ne La corsa di Billy amore, passione e lotta politica si fondono in un crescendo di tensione, fino all'esplosivo finale, giocato sullo spettacolare palcoscenico olimpico.

Hanno detto su "La Corsa di Billy":
«La più famosa storia d'amore gay mai narrata... Commovente e monumentale… In confronto Il giovane Holden e Il signore delle mosche sembrano Mary Poppins» (The New York Times)
«Un romanzo rivoluzionario e sconvolgente» (San Francisco Chronicle)
«Ti tiene inchiodato al libro dall'inizio alla fine» (Los Angeles Times)
«Un libro che dovrebbero leggere tutti coloro che si considerano politicamente coscienti: un'esperienza illuminante» (The Village Voice)

Nota bio-bibliografica sull'autrice. Patricia Nell Warren è una scrittrice americana, diventata famosa non soltanto per la sua pratica letteraria, ma anche per la sua vicinanza e il suo appoggio ai fenomeni di emancipazione del mondo omosessuale.

Patricia nasce nel 1936, cresce al ranch Grant Kohrs, nei pressi del Dear Lodge, in Montana. Si appassiona alla scrittura già da adolescente, mescolando forme bucoliche (connesse alla natura, alla fattoria) a tematiche politiche (come la lotta per i diritti umani, comprendente ovviamente anche i diritti per gli omosessuali). La sua propensione a “raccontare storie” si esprime ovunque, nell’ambito della retorica dei dibattiti socioculturali o quando Patricia si occupa di giornalismo.
Nel 1974 William Morrow pubblica il primo lavoro di Patricia, The front runner, che diventa un romanzo di culto, tradotto in più di dieci lingue, punto di riferimento per chi da allora in poi voglia scrivere una storia che si occupi di omosessualità. The front runner ispira anche la creazione dei club ginnici definiti per l’appunto Frontrunners, punto di riferimento per la comunità gay-lesbo-transgender di Los Angeles, San Francisco e molte altre città degli States.
L’attività letteraria di Patricia subisce un’impennata: scrive The Fancy Dancer nel 1976 e The Beauty Queen nel 1978.
Poi una pausa, nella quale "Patches" (questo il suo nickname, negli ambienti dei Frontrunners) si occupa attivamente della lotta antisessista e quindi di nuovo la scrittura: del 1991 One is the Sun, seguito da Harlan's Race (1994) e Billy's Boy (1997), che formano la trilogia iniziata con The front runner.
The Wild Man invece è del 2001, prima che Patches riprendesse ancora una volta la strada della politica, candidandosi poi nel dicembre 2006 per il consiglio comunale di West Hollywood.
Per saperne di più: 

When people sum up the Front Runner story line, especially when they’re talking about a film adaptation, they want to frame it as the “gay love story of Coach Harlan Brown and his Olympic runner Billy Sive.” Indeed, when the book was first published in 1974, publisher William Morrow log-lined it in that way.

When I wrote the novel, I didn’t think of it as a “gay love story” or a “gay” anything. The story came to me as something broader and deeper and more personal – and I think this something is what’s missing as, once again, people talk about the Front Runner movie.

What came to me right in the beginning, in late 1972, as I realized I wanted to write a novel about LGBT people embattled in the sports world, was a story with one central character – one man, a track coach named Harlan Brown. It had to be his story, told in first person. The phrase that Harlan uses in the book, to describe this arc he lives through, is “the humanization of Coach Brown.”

When I started writing the book, I had been reading some first-person celebrity biographies of the time, at the Reader’s Digest, where I was working as a book editor. I wanted my novel to have that same kind of urgent personal voice, as if a real-life Harlan Brown had finally (some years after the events in the book would have taken place) been persuaded by some publisher offering a lot of money, to write about what really happened, from beginning to end.

So the book’s prose had to be the voice of a conservative ex-Marine veteran who is at war with himself. He knows he’s gay and attracted to men, but he refuses to let himself feel, to let himself be that person he knows he is, because of his repressive Bible-taught family upbringing and military background. When Harlan’s finds himself falling secretly in love with Billy Sive, the conflict only intensifies and almost drives him mad, until he is finally “human” enough to give in and let himself be in love.

The story does not “end” with what happened to Billy. Harlan’s story in the book continues on after that. He has spent most of his life wishing he could let himself love someone. Finally he had the courage to do that and suddenly that love is torn away from him in the most horrendous way – on live TV in front of millions of people.

Becoming “human” brings Harlan to one more challenge – letting himself feel grief for the first time in his life. So what does Harlan do with his grief? Does he give up? Does he regroup, take that hill like the Marine that he still is? Does he decide to go on having a life? A life that mysteriously and wonderfully still embraces the memory and spirit of the person he loved?

That decision is the final drama that unfolds in The Front Runner, not Billy’s death on the track in Montreal. “The Front Runner” is actually the story of Harlan’s life – including his own abortive career as a runner, and how, after Billy’s death, he finally has his own victory.

One big reason why I wanted to paint the story so broadly, yet so personally, was that I hoped non-gay people would read the book as well as gay people. Hopefully the story of Harlan’s inner battle, his defeats and his victories, would spark the sympathies of as many people as possible.

When the book was written as well as today, stereotypes of gay males as limp-wristed liberals is embedded in people’s minds. Harlan is a crusty gay ex-Marine, a drill-sergeant kind of guy. I wanted to confront readers with the inner reality of such a man because I know they exist.

The "real" Front Runner Story Line (Patricia Nell Warren)

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26 maggio 2015 2 26 /05 /maggio /2015 20:46
Il mio secondo tempo. Domenico Baglivo e la passione per la corsa come modo per vivere e rimettersi in gioco

Domenico Baglivo , conosciuto su Facebook come "Mimmo Ultrarunner" ha pubblicato un so libro di memorie e di impessione relativamente alle sue corse, dal titolo "Il mio secondo tempo". Il ricavatosarà devoluto alla Associazione "L'Abbraccio Onlus". Il libro è stato edito preso Lulu.com ed è acquistabile "on demand", sia in forma e-book, sia in versione cartacea.

Domenico Baglivo, nasce a Bari 21 agosto 1973. È un atleta della società Bitonto Sportiva con i cui sodali condivide la passione per la corsa, che nella sua visione di vita diventa un modo di vivere, un modo di esplorare il mondo, un modo per poter condividere le proprie emozioni.

Questo libro rappresenta la sua voglia di rimettersi in gioco e ripartire verso un immenso mare in cui potrà rispecchiarsi ogni giorno. Un mare limpido dove prevalgono sentimenti puri come l'amicizia, sentimenti che acquistano maggior valore se condivisi.

Questa la traccia rossa che percorre il libro.

Eccovi il frutto di tanto lavoro. Il libro di Domenico Baglivo (Mimmo UltraRunner) è finalmente una realtà.
Qui di seguito il link per l'acquisto dove oltre il formato cartaceo potrete trovare il formato ebook.
Il ricavato della vendita sarà devoluto all'associazione l'abbraccio-onlus.
Laura e io abbiamo creduto in questo progetto sposandolo con immensa gioia, curandone la pubblicazione, la prefazione e la postfazione.
Lasciamo a voi il piacere della lettura.

Elena Cifali

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26 maggio 2015 2 26 /05 /maggio /2015 06:51
In Cammino con l'Io piccolo. Nel volume di Viliam Amighetti un ricordo/biografia di Roby PiantoniIn Cammino con l'Io piccolo. Nel volume di Viliam Amighetti un ricordo/biografia di Roby Piantoni

Il libro di Viliam A. Amighetti"In cammino, con l'io piccolo" (Viliam Amighetti Editore, 2015)racconta in prima persona la storia di Roby Piantoni, l'alpinista bergamasco, scomparso nel 2009 sulla parete Sud della Shisha Pangma: una creatura speciale fatta di montagna e di luce.

Il volume verrà presentato a Colere sotto la Presolana, il 2 giugno 2015, in occasione della due giorni dedicata al ricordo di Roby e alle iniziative dell'Associazione a lui dedicata, che porta avanti i progetti "Insegnanti per il Nepal" e "Street Doctor".

Di seguito, un ricordo di Roby Piantoni, scritto da Davide Sapienza.

In Cammino con l'Io piccolo. Nel volume di Viliam Amighetti un ricordo/biografia di Roby PiantoniIn Cammino con l'Io piccolo. Nel volume di Viliam Amighetti un ricordo/biografia di Roby Piantoni
In Cammino con l'Io piccolo. Nel volume di Viliam Amighetti un ricordo/biografia di Roby Piantoni

Roby Piantoni nasce a Colere nel ‘77 e da subito segue le orme del padre, l’alpinista Livio Piantoni, tra i sentieri e le pareti della Valle di Scalve, ai piedi della sua amata Presolana. Si appassiona presto a tutte le discipline della montagna diventando un abile alpinista, tanto da conseguire giovanissimo il titolo di Guida Alpina prima e Guida Alpina Istruttore in seguito. Oltre alle montagne di casa, Roby ha salito le montagne delle Alpi e della catena himalayana, fino a coronare il suo sogno nel 2006 di raggiungere senza ossigeno la vetta più alta del mondo, l’Everest. Roby è mancato nell’ottobre 2009, durante la spedizione allo Shisha Pangma (Tibet).
I suoi obiettivi non erano solo quelli di scalare le montagne più alte ma soprattutto ha dedicato molto del suo tempo a trasmettere la sua passione e amore per la montagna ai più giovani, insegnando loro le pratiche alpinistiche ma soprattutto dedicandosi alla valorizzazione e lo sviluppo di vie e falesie della Valle di Scalve. Tra i suoi progetti, la falesia di arrampicata oggi a lui dedicata di Pian di Vione e la richiodatura delle vie storiche della Presolana Nord.
Roby, nella semplicità e sensibilità che lo contraddistinguevano, ha sempre affrontato la montagna con umiltà e rispetto, sia verso i luoghi sia verso le genti dei Paesi che visitava.
La grandissima passione per la montagna ha portato Roby tra le genti dei villaggi più sperduti delle vallate himalayane, portandolo a conoscere non solo le meraviglie della natura ma anche gli usi, le tradizioni e i costumi dei popoli che in Paesi come Nepal, Tibet e Pakistan, vivono, in condizioni di povertà estrema, spesso traendo l’unica fonte di sostentamento dal lavoro stagionale come portatori, cuochi o guide per alpinisti e trekkers. Con la sua semplicità e la sua sensibilità sapeva affrontare la montagna con umiltà e rispetto verso i luoghi, i popoli e le culture. Il desiderio di poter fare qualcosa per migliorare il futuro dei bambini di queste aree, ha spinto Roby nel 2006 a dare vita al progetto Insegnanti per il Nepal h, un progetto di raccolta fondi da destinare alle scuole dei villaggi più poveri di una nazione che tanto gli aveva dato e che lui adorava.

roby Piantoni (sito web)

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19 maggio 2015 2 19 /05 /maggio /2015 06:41
Runner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al deserto
Runner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al desertoRunner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al deserto

(Maurizio Crispi) Mi sono imbattuto in libreria non molti giorni addietro (tra la fine di aprile e i primi di maggio) in un nuovo libro sul running e, come faccio di solito, l'ho immediatamente acquistato e messo in lettura subito dopo.
Si tratta del volume di Daniele Barbone. Runner si diventa. Dall'Ufficio al Deserto, edito da Corbaccio (2015), con un'accattivante copertina brossurata che nella sua grafica ricorda i volumi di Pietro Trabucchi (editi dalla stessa casa editrice).
Mi sento portato ad esprimere già un mio parere, pur con la lettura ancora in corso, ma ormai a più di due terzi del libro.
E' un volume di difficile catalogazione, perché si presenta come un ibrido, tra il memoir podistico e di vita, ma anche come manuale di insegnamenti sulla corsa, sul vivere e sulle attività imprenditoriale. per me che vengo anche dall'esperienza di corsista in corsi di formazione per formatori, il volume di Barbone possiede tutte le qualità per poter essere adottato come testo di riferimento in un'attività di formazione per manager, divisa tra ore d'aula e ore da da impegnare in attività outdoor che temprino alla resilienza e alle capacità decisionali, avendo come supporto e risorsa il gruppo.
L'"ibrido" sul running, partorito da Daniele Barbone si distacca dunque da altri disponibili sul mercato per il suo taglio. Si parla della sua iniziazione alla corsa e delle sue avventure podistiche, per così dire da zero alla 100 km del Sahara, passando per l'esperienza di correre in poco più di anno le cinque "Major" tra le Maratone (Major World Marathon) e vivendo, a causa di questa sua scelta, in diretta l'attentato della Maratona di Boston. Il tutto intersecato con le sue esperienze di vita lavorativa ed imprenditoriale. Ciò che colpisce è il fatto che egli crei un mix assolutamente unico tra sport, esperienza interiore del limite e d'una resilienza che può essere forgiata e modificata, lavoro di squadra e attività di motivatore.
Quindi, ogni singolo momento della carriera podistica di Daniele Barbone è stato forgiato dalla sua mentalità lavorativa. Anche nella corsa ha voluto essere imprenditore di se stesso: la creazione di un team, trovare un ottimo coach (nella persona di Orlando Pizzolato), aver avuto la fortuna di poter ricevere gli insegnamenti di Pietro Trabucchi, e iniziare, infine, egli stesso ad essere di esempio per gli altri e "motivatore".
Ad esempio, emerge dalle sue pagine una visione assolutamente inedita del pacemaker (sulla base della sue personali esperienze come pacemaker) visto come motivatore di altri podisti. La parte più interessante ed autentica è quando l'autore racconta la sua crecita di imprenditore autonomo con una sua vision, alal ricerca dell'eccellenza: e, qui, potrebbe essere addirittura d'insegnamento ad altri. Ciò che, invece, disturba nella lettura del suo volume è il suo volere essere maestro e "motivatore" (sì, tale parola ricorre spesso) e, attraverso il suo racconto, impartire insegnamenti e costruire una filosofia di vita (almeno, non voglio apparire pesante, in questa mia critica, ciò emerge soprattutto in alcuni capitoli che sembrano avere un taglio "didattico", anche a causa dell'intenso uso del grassetto per evidenziare parti del testo e dell'inserto finale di una scheda con i "punti chiavi" (anche questi in grassetto): capitoli leggendo i quali ci si sente disorientati e quasi scaraventati nel bel mezzo di una presentazione in powerpoint, senza slide, ma il succo sembra essere quello... come anche le citazioni ricercate e forse troppo ricercate che mi fanno pensare ad un libro di pensieri e di citazioni che, durante un corso di formazione, mi venne consigfliato come "strumento del mestiere" per infarcire le mie eventuali presentazioni in powerpoint di formatore in fieri di citazioni adeguate ed opportune: citazioni che dovrebbero essere inserite abilmente qua e là per generare nel discente un senso di riverenza, misto a meraviglia, nei confronti della 'apertura culturale del proprio formatore.
E così facendo, con il fardello di questo intento e con quello formale delle grassettature le sue pagine perdono freschezza e slancio, impedendo al lettore più accorto e più autonomo nella capacità di assimilare e metabolizzare il testo di costruirsi una sua immagini ed elaborare concettualizzazioni autonome, mettendole a confronto con la propria esperienza.
Sempre per via della logica imprenditoriale applicata alla sport, con l'aggiunta di una buona tecnica di marketing ma anche a causa delle sue ottime "entrature" e della stima che raccoglie, a ragion veduta, nel mondo degli esperti (nell'area dell'imprenditoria e della tutela dell'ambiente, anche a livello internazionale), Barbone è rapidamente divenuto "viral" nella rete e spunta dovunque come il prezzemolo, in interviste e video, in cui lancia i suoi messaggi che, pur apprezzabili, serviti così - esattamente nella veste di insegnamenti utili ed apprezzabili - rischiano di diventare le elaborazioni di un "maestrino" del pensiero: mentre - come sappiamo.- il vero saggio è colui che si nasconde in quanto saggio e che diffonde i suoi insegnamenti in una forma che non vuole apparire come insegnamento, comportandosi così - per alcuni versi - da anti-maestro.
Io, da podista (per quanto non più attivo, ma con oltre duecento maratone e ultramaratone concluse), sotto questo punto di vista non mi sento di dovere condividere o accettare il Verbo di Barbone, come mia fislosofia della corsa e dello sport: voglio costruirmi la mia.
E credo che ognuno debba potersi costruirsi la propria senza bisogno di un Barbone che viene a dirti come devi pensare, cosa devi sentire e senza i suoi suggerimenti imprenditoriali applicati alla corsa o anche senza i suoi suggerimenti imprenditoriali derivanti dall'esperienza della corsa (per quanto questi ultimi possano risultare indubbiamente interessanti per colui che da psicologo si occupi di psicologia delle organizzazioni)..
Daniele Barbone si giustifica di fronte a questa critica, dicendo che i grassetti e le schede con i punti chiave di ciascun capitolo sono stati decisione dell'editore, ma io credo - e anche questo lo affermo sulla base della mia esperienza personale - che un Autore abbia sempre la possibilità di interferire con le scelte editoriali e di porre dei veti a scelte che alterano il proprio prodotto dell'ingegno.
Detto questo, il mio suggerimento è che tutti debbano leggere questo libretto.
D'accordo o non d'accordo con il suo format (specie quello di alcuni capitoli), ci si imbatte in alcuni passaggi che sono autenticamente da antologia, come ad esempio il racconto della sua partecipazione alla Maratona di Bostorn e il suo essere lì, in presa diretta, a poche centinaia di metri dal luogo in cui scoppiarono i due letali ordigni.
Oppure il suo essere presente alla Maratona di New York, nell'anno (2012) in cui - evento unico nella sua storia - venne sospesa a due giorni soltanto dall'evento a causa di Sandy, il ciclone che, spingendosi eccezionalmente tanto a Nord, aveva seminato al suo transito una scia di morte e distruzione.
Ma - mi perdoni ancora una volta Barbone - correre in poco più di un anno le cinque Major tra le Maratone (New York, Chicago, Boston, Londra, Berlino) non è una grande impresa sotto il profilo sportivo. Lo è decisamente sotto il profilo economico, poichè bisogna pianificare cinque viaggi all'estero, con costi elevati per l'acquisto del pettorale, oltre a tutte le spese di trasferta (in cui, poichè si deve dipendere dalle agenzie di viaggio che hanno il monopolio sui pettorali i costi lievitano non di poco). Dunque, per riuscire in una siffatta impresa, basta avere i soldi e il tempo necessari: ancora una volta, da parte di Barbone, questa risulta essere un'affermazione supponente che gli possiamo perdonare supponendo a nostra volta che egli, nel decantare il pregio della sua impresa, sia trascinato dall'entusiasmo e che non veda quale possa essere il vero limite per la maggioranza dei runner nel correre di seguito le cinque Major. E, soprattutto, egli manca di delicatezza nei confronti dei tanti super-maratoneti italiani assuefatti a correre anche una maratona alla settimana, ma che - per necessità di cose, in mancanza delle risorse di tempo e di denaro necessarie - devono rivolgersi alle maratone di casa propria, limitandosi al massimo - come "regalo" a partecipare ad una maratona all'estero, una volta all'anno: sono in tanti a vivere il podismo, dovendo tenere conto di un budget mobilizzabile allo scopo che, ogni anno, diventa una copertina sempre più stretta.
Ma, ancora, Barbone riesce ad essere simpatico, con il suo essere sempre lì, come un folletto del mondo della corsa sulle lunghe distanze o anche come un Forrest Gump, che corre ma che - non si sa come - riesce sempre ad essere lì nei momenti più cruciali e accanto a personaggi importati ai quali riesce ad impartire il consiglio giusto.
E, in più, il fatto che le vendite del volume siano legate ad un'iniziativa benefica, potrebbe essere un incentivo ulteriore ad acquistarlo.
Quindi, chiunque abbia letto la mia recensione sino in fondo, non si lasci influenzare dall'esposizione di quelli che ho evidenziato come punti di criticità e acquisti questo "Runner si diventa", lo legga e lo faccia suo, ricercando quelle pagine che sono delle piccole perle oppure quelle che possano generare in lui il senso della meraviglia.

(Dal risguardo di copertina) Chi, un bel giorno, decide di alzarsi dalla sedia e di mettersi a correre non inizia solo a praticare uno sport entusiasmante, ma cambia anche la sua vita. Questo è il messaggio che Daniele Barbone, imprenditore e runner, trasmette nel suo libro. Per correre non bisogna acquistare un’attrezzatura costosa, bisogna solo abbandonare la pigrizia e muovere il primo passo. Dall’isolato di casa e dai parchi cittadini alle mezze maratone e alle maratone, Daniele racconta come è approdato alle Five Major Marathons e alla 100km del Sahara, la corsa nel deserto che si avvicina al mondo estremo dell’Ultra-Trail.
Ci vogliono volontà, motivazione, resilienza, capacità di porsi obiettivi realistici ma sempre più ambiziosi, non per ottenere riconoscimenti esterni ma per provare soddisfazione in se stessi. Oggi Daniele Barbone non è solo un runner, è anche un «pace-maker», un motivatore che affianca, sprona e consiglia chi sta correndo. E in «Runner si diventa» Daniele condivide con il lettore la sua «cassetta degli attrezzi», utile a chiunque voglia avvicinarsi al running, a chi già lo pratica e a chi lo vede come metafora che insegna a realizzare i propri traguardi in ogni campo, dallo sport allo studio al lavoro: a individuarli, a sviluppare la resilienza necessaria, a soffrire un po’, a trovare buoni compagni di viaggio e, infine, a raggiungerli.

Un libro che ti insegna a correre per realizzare i tuoi sogni e raggiungere i tuoi traguardi

Giovanni Soldini

Nota sull'autore. Daniele Barbone, quarantatré anni, nato ad Alessandria e felice papà di Tiziano, vive tra Novara e Milano.
Ha creato un gruppo di aziende nel settore Green Economy e nel settore Formazione che sono oggi un punto di riferimento nazionale e che hanno ottenuto un numero consistente di premi e danno spazio in particolare a giovani talenti. Daniele unisce la passione per il lavoro a quella per la corsa a piedi trovandone continuamente i punti di contatto e la reciproca utilità.

Nel 2013 è stato tra i 150 atleti di tutto il mondo che hanno completato le Five Major Marathon, correndo in sequenza le maratone di Londra, Berlino, Boston, Chicago e New York. Nel 2014 ha corso la 100 km del Sahara unendo la sua passione di sportivo a un’iniziativa benefica: per ogni chilometro di corsa percorso, Daniele Barbone ha ottenuto da alcune aziende un finanziamento in favore di CESVI, un’organizzazione laica e indipendente che opera per la solidarietà mondiale.

Con il progetto Dall’Ufficio al Deserto, Daniele Barbone è testimonial Expo 2015 per #expottimisti.

Runner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al deserto
Runner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al desertoRunner si diventa. Daniele Barbone e la sua filosofia della corsa: dall'ufficio al deserto
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4 maggio 2015 1 04 /05 /maggio /2015 21:01
Niente é per caso. I pensieri, i sentimenti e le emozioni di Manfredi Salemme continuano a vivere in ciò che ha scritto

Manfredi Salemme, uno dei "Via Alpinisti" ha pubblicato un’opera, Niente é per caso" (a proprie spese), con le sue riflessioni sugli incontri e i paesaggi in cui si è imbattuto cammin facendo. 
Oltre alla sua traversata delle Alpi, "Niente è per caso" racconta anche le precedenti escursioni lungo l’Alta Via dei Monti Liguri e il Sentiero Italia.
Manfredi Salemme non è più con noi (ci ha lasciato stroncato prematuramente da un Male che non perdona l'8 settembre 2014), ma nelle sue parole e in ciò che ha scritto, e soprattutto con ciò che ha seminato in termini di pensieri, sentimenti ed emozioni nelle persone che gli sono state più vicine egli continua a vivere.

Quelle che seguono sono le parole di un omaggio sentito a Manfredi Salemme e alla sua opera.

(SuperElena Cifali) Viviamo anche attraverso il ricordo che gli altri hanno di noi.
Rileggendo le pagine scritte da Manfredi Salemme mi rendo conto di quanto sono stata fortunata ad avere conosciuto un uomo di così grande intelligenza, sensibilità e carisma.
Manfredi era protagonista assoluto della sua vita, al limite dell'egoismo, oserei dire.
Capace di compiere viaggi lunghi migliaia di chilometri con l'unico interesse polarizzato sul Cammino, su se stesso e sulla natura.
Mi manca molto la sua presenza, il suo modo di fare da gentiluomo, così lontano dalla mediocrità di tanti uomini di questi tempi, ma anche il suo modo di osservare le cose e gli accadimenti della vita come un punto di partenza.
E' stato sempre pieno di vita anche quando il Male lo consumava, capace di infondere coraggio ed ottimismo.
Mi ha insegnato il "principio della soddisfazione personale", principio che nelle sue pagine ho riscoperto decine di volte.
Caro Manfredi, con tuoi libri hai lasciato in me una traccia indelebile, una profondo segno di positività che non può che far crescere chi ti legge!

Niente é per caso. I pensieri, i sentimenti e le emozioni di Manfredi Salemme continuano a vivere in ciò che ha scritto
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2 maggio 2015 6 02 /05 /maggio /2015 08:03
Maratoneta solo per un giorno. Massimiliano Boni nella duplice identità di runner e di scrittore

(Maurizio Crispi) Massimiliano Boni è un maratoneta, ma è anche uno scrittore: il suo "Solo per un giorno" (Casa editrice 66thand2nd, Collana Attese, Roma, 2015), si presenta quindi come un diario di corsa, ispirato - come racconta egli stesso - dall'incontro dell'autore con il libro di Murakami Haruki sulla corsa (L'arte di correre, Einaudi, 2009, in questi ultimi anni divenuto libro cult tra i runner e non necessariamente solo tra gli appassionati di Murakami), in cui l'identità dello scrittore e quella del runner si permeano l'una nell'altra e dove lo scrittore trae linfa vitale dalla pratica diuturna della corsa, e - soprattutto - dalla ricca attività di pensiero associativo che si attiva durante le ore dedicate all'allenamento (che sono anche ore outdoor e di intenso e vivificante rapporto con la natura e con l'osservazione della realtà). Il diario di Massimiliano Boni è articolato in una serie di capitoli che si dipanano nell'arco di un anno, all'inizio con cadenza più più frequente, poi, con puntate grosso modo distanziate di un mese circa l'uno dall'altro. L'autore ha corso la sua prima maratona a Roma nel 2013 e, dopo questa prima positiva (anche se sofferta) esperienza decide di tornare nuovamente a correre una maratona l'anno successivo - sempre a Roma, che è la sua città - con l'obiettivo di migliorare la propria prestazione precedente.

Le sue annotazioni riguardano sia singole sedute di allenamento sia la partecipazione a gare più brevi cui egli ha modo di partecipare, ma nello stesso tempo spaziano nel tempo e nello spazio, poiché egli si espande in incursioni nel suo passato personale, di sportivo prima e di podista poi, nelle sue attività di scrittore, nelle pratiche di riscoperta e di vivificazione delle proprie origini ebraiche.
Massimiliano Boni è un podista solitario e taciturno: raramente si aggrega ad altri e, in ogni caso, quando lo fa è concentrato sulla propria perfomance personale che - per soddisfarlo - deve possedere dei requisiti di qualità e di intensità. Come podista - ma anche come scrittore - egli vuole dare sempre il meglio di sé e quindi correre, sia in allenamento sia in gara per lui non può mai essere una passeggiata.
Solo per un giorno: il titolo sta a significare che egli sarà nuovamente Maratoneta "solo per un giorno". Il suo obiettivo, infatti, non è quello di correre molte maratone, ma di correrne solo una: solo una volta, si potrebbe forse aggiungere.

Forse, egli in seguito si preparerà di nuovo per correre una nuova maratona. Ma sarà di nuovo un'esperienza assolutamente unica e non parte di una ritualità ripetitiva e cerimoniale, come è quella di molti maratoneti che entrano a far parte delcosiddetto "popolo delle lunghe", per i quali corree e partecipare alla maratone diventa piuttosto che essere una scelta di libertà declinazione di una coazione a ripetere e una sorta di imprigionamento perpetuo nei rituali delle lunghe e lunghissime distanze.
Invece, Massimiliano Boni, no: egli sostiene che vuole essere maratoneta "solo per un giorno" e che soltanto così l'esperienza di correre la maratona potrà essere intensa e di qualità, avendo sempre in mente l'idea che ci possano essere sempre molte altre cose da fare, da apprezzare e da coltivare con la stessa intensità.
Il diario,di Massimiiano Boni (che è anche vademecum di viaggio nella propria interiorità si legge con piacere, non solo perché parla di corsa di sport di maratone, ma anche perché ha un valore universale di esperienza umana di contatto profondo con le proprie dinamiche interiori con i propri pensieri e con i propri ricordi: e potrà piacere non soltanto ai runner che avranno modo di rispecchiarvisi e di attivare movimenti virtuosi di identificazione, ma anche a chi runner non è e che è desideroso di rispecchiarsi in un'esperienza profondamente umana - umana nel senso più ampio del termine -, e per questo un'esperienza - mi si consenta di dirlo - "umana" e non "post-umana", come quella di tanti che si avvicinano alla pratica dello sport - ed in genere dello sport - soltanto con un'attenzione perfomativa (senza che dentro tale pratica sia rintracciabile altro)

Il volume è pubblicato dalla case editrice romana 66thand2nd, nella collana "Attese" che "...è dedicata a tutti quei libri in cui lo sport, la competizione – non solo l’agonismo o la tecnica, ma anche il sogno e l’attesa che sempre accompagnano le gare e i fatti legati allo sport – offrono lo spunto per una narrazione più ampia e costituiscono le scintille che innescano il desiderio e il gioco della scrittura. Con questa missione, Attese ha dato finora spazio a discipline diverse – calcio, boxe, baseball, basket, rugby, ciclismo. Dalla riscoperta dei classici del genere alla pubblicazione di autori ancora inediti in Italia, fino alle opere delle giovani promesse della narrativa: tutti romanzi unici per stile, temi e ambientazione".
Ma una parola merita anche l'ancora relativamente giovane casa editrice, anche per spiegare il suo strano ed insolito nome.

66thand2nd è stata fondata a Roma nel 2008. Il nome è un omaggio a New York.
Sixtysixthandsecond infatti è l’incrocio tra la Sessantaseiesima Strada e la Seconda Avenue, a Manhattan, dove gli editori hanno creato il primo nucleo del progetto editoriale di 66thand2nd – un progetto, come suggerisce il logo ispirato alla segnaletica delle freeway, che guarda con attenzione ai fermenti della narrativa angloamericana, ma anche aperto alle letterature altre e ai talenti italiani.
Distribuita dal gruppo Messaggerie, 66thand2nd si è affacciata sul mercato nel 2009 con due collane, Attese e Bazar, a cui si sono aggiunte Bookclub nel 2011 e B-Polar nel 2012. Nel 2013 invece esordirà Vite inattese, un’apertura in direzione del memoir.
Del maggio 2011 è il primo best seller, La fine di Salvatore Scibona.
I libri di 66thand2nd si distinguono per la qualità della grafica e dei materiali, perché ogni libro è un oggetto pensato per essere amato e conservato nel tempo.


Massimiliano Boni(Dal risguardo di copertina) Massimiliano Boni non è un eroe, se non per un giorno in un anno. Questa è la storia degli altri trecentosessantaquattro. In quel tempo fa due cose: corre e scrive. Poi, certo: lavora, legge, si occupa della famiglia, ricorda, rimpiange, sogna. Ma queste altre cose accadono di lato: al centro, corre e scrive. Si prepara alla maratona e tiene un diario. Non è spavaldo, in nessuna delle due sfide. Sa di non essere più un principiante, ma non ancora un campione. Abbassa la testa, cerca di imparare dai grandi e da chi gli viaggia a fianco. Lo accompagnano, tra gli altri, un amico straniero, la nonna "Baccajella", Murakami Haruki, Cormac McCarthy, la memoria di uno sciatore chiamato Roberto Grigis e la fantasia di un nuovo figlio in arrivo. È uno di noi, uno di voi, una delle migliaia di figure smilze e colorate che vediamo ansimare mentre le superiamo motorizzati, domandandoci: "Chi glielo fa fare?". Porta questo interrogativo a un livello più profondo. Scava dentro le proprie tracce per trovare il solco di un impegno che comprende molto più dell'allenamento per una gara. Ne fa una questione di fede: nelle proprie possibilità, nella legge umana e, infine, in quella divina. Il suo linguaggio si scioglie avanzando verso il traguardo dove la vita è in agguato, come sempre comica e tragica, pronta a dare in modo inatteso e a togliere quel che ci si aspettava. In entrambe le sue sfide Boni è un outsider, ma arriva in fondo. La fatica avvera i desideri.

Nota biografica sull'autore. Massimiliano Boni è nato a Roma nel 1971. Dal 2011 lavora come consigliere alla Corte costituzionale.
Nel 2006 ha pubblicato La parola ritrovata (La Giuntina). Nel 2013 ha corso la sua prima maratona. Nel 2014, l’ultima.

Intervista a Massimiliano Boni

 

Il link che porta al sito web della casa editrice

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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Data di creazione 12/04/2011
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Giornata record 14/04/2014 (3 098 Pagine viste)
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Precedente giornata record 22/04/2012 con 2847 pagine viste
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