Carlo Airoldi è un personaggio - quasi salgariano per alcuni versi - tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie alle scoperte di recenti fonti storiche, come alcuni diari di atleti che presero parte alle Olimpiadi del 1896, e alla pubblicazione, nel 2005, del libro La leggenda del Maratoneta. A piedi da Milano ad Atene per vincere l'Olimpiade di Manuel Sgarella (Macchione editore, 2005), un libro meritevole (tra l'altro arricchito da una ricca documentazione iconografica), perchè illuminando il lettore sulla storia del personaggio con il riferimento a preziosi ed inediti documenti d'epoca, gli fornisce nello stesso tempo uno scorcio sullo sviluppo delle attive sportive ("ginnastiche", come si usava dire allora) dell'epoca in cui tanti sport diversi (specialità e discipline) si intersecavano e confondevano uno nell'altro, per cui uno come Airoldi poteva essere marciatore, corridore, ciclista, pugile e ginnasta.
Precedentemente alla pubblicazione di questo, ben poco si ricordava di Carlo Airoldi, anche se tanto era stato scritto su di lui nei quotidiani dell'epoca: avrebbe potuto essere benissimo uno di quei personaggi condannati all'oblio.
E il libro di Sgarella è, di fatto, una delle pochissime fonti biografiche esistenti.
Tuttavia tra tutti i personaggi che hanno partecipato alle prime Olimpiadi di Atene, o che abbiano tentato di parteciparvi, è quello che si sta rivelando più interessante per diversi motivi tra cui le modalità del suo viaggio. Tutti gli atleti vi giunsero in nave e in treno, ma Airoldi - avendo pochi soldi - aveva fatto a piedi buona parte della strada, come anche le peculiarità dell'organizzazione di questa iniziativa, basata sulla ricerca di uno sponsor per raccogliere i soldi necessari a coprire le spese vive del viaggio (necessarie, per quanto fosse in economia), a differenza degli atleti anglo-sassoni, ad esempio, che trovavano facili finanziamenti presso le Università che frequentavano.
I suoi biografi hanno anche voluto vedere in lui una delle prime vittime delle manovre di giustizia sportiva mirate a favorire un atleta piuttosto che un altro, in quanto la Grecia puntava molto su un suo rappresentante (Spyridion Louis) come vincitore della maratona olimpica e, per ciò stesso, avrebbe avuto tutti gli interessi ad escludere un atleta forte e temuto come Carlo Airoldi.
Inoltre, nella storia dell'atletica italiana, Airoldi si colloca subito prima di un altro celebre e sfortunato protagonista della stessa disciplina olimpica: Dorando Pietri.
La vicenda di Airoldi ha da sempre affascinato storici e studiosi di sport.
Uno di essi, Bruno Bonomelli, ex-atleta, storico e giornalista appassionato di atletica leggera, volle ripercorrere in auto il tragitto percorso a piedi dall'atleta milanese per giungere ad Atene.
Carlo Airoldi appare inoltre nell'opera in tre atti, 1896 - Pheidippides... corri ancora!, di Luca Belcastro. In quest'opera si parla dei Giochi Olimpici del 1896 e anche della vicenda dell'Airoldi che, dopo aver percorso un lungo tragitto a piedi, apprese della sua esclusione dai giochi per aver praticato il "professionismo".
Biografia. Carlo Airoldi nacque nel 1869 alla Cascina Broggio, a Origgio, da una famiglia contadina. I suoi genitori si chiamavano Luigi Airoldi e Annunciata Borroni.
Incominciò a partecipare a gare nel territorio di Varese (la prima documentata si tenne a Gorla nel 1891) per poi arrivare a gare nazionali e internazionali dove si batté con il suo maggiore rivale del tempo, il marsigliese Louis Ortègue.
Nel 1892 trionfò nella Lecco-Milano; vinse in seguito la Milano-Torino.
Divenne ben presto famoso come uno dei migliori fondisti della sua epoca. Il suo grande successo fu la vittoria alla Milano-Barcellona (settembre 1895), una gara di marcia in dodici tappe per complessivi 1.050 chilometri.
Airoldi dovette faticare molto per trovare i soldi per raggiungere Torino in modo da partecipare alla gara ma alla fine riuscì a essere tra i 30 partecipanti. Durante la corsa Airoldi incontrò delle difficoltà: al 10º giorno di corsa infatti gli si gonfiarono i piedi, ma decise di non mollare e nonostante l'handicap riuscì a arrivare all'ultima tappa primo a pari merito con il marsigliese Ortègue.
Nell'ultima tappa della corsa, quella che avrebbe deciso il vincitore della competizione, quando era a un chilometro circa dal traguardo, riuscì a superare Ortègue, ormai stremato, ma - a pochi metri dal traguardo, voltandosi indietro per vedere quanti metri di distacco dal francese avesse - vide il Marsigliese a terra; con grande sportività, tornò indietro, si caricò sulle sue spalle il suo più diretto avversario e tagliò per primo il traguardo, urlando alla giuria «Io sono primo: l'avversario è con me, ed è secondo!».
Tale vittoria gli fruttò la cifra di circa duemila pesetas che gli servirono per fare ritorno a casa.
Nel novembre 1895 sfidò Buffalo Bill, che in quei giorni era in Italia, a una gara di 500 chilometri: Airoldi sarebbe andato a piedi mentre Buffalo Bill a cavallo.
Tuttavia Buffalo Bill rifiutò perché pretendeva di avere a disposizione due cavalli.
Fu assiduo praticante anche di altre discipline della ginnastica.
La 1^ Olimpiade moderna. Airoldi tentò di partecipare alla 1^ Olimpiade di Atene nel 1896, con ottime prospettive di vittoria.
Tuttavia aveva bisogno di denaro per arrivare nella capitale greca. I soldi vennero cercati presso il direttore del giornale milanese La Bicicletta, uno dei più noti dell'epoca, cui Airoldi propose di partecipare economicamente al viaggio, che si sarebbe svolto a piedi attraverso l'Austria, l'Impero Ottomano e la Grecia.
Un viaggio avventuroso che avrebbe obbligato l'Airoldi a percorrere settanta chilometri al giorno per trovarsi in tempo ad Atene.
Il giornale avrebbe documentato tutte le tappe del viaggio e avrebbe fornito il necessario supporto logistico.
Il giornale milanese accettò e il viaggio ebbe inizio il giorno 28 febbraio alle ore 16:00; l'Airoldi prima di partire fece una corsa di riscaldamento di 5 km e venne visitato dal dottor Favari che lo trovò in «buone condizioni di polso e di respirazione».
Le tappe da Milano a Spalato, passando per Trieste e Fiume, non presentarono particolari problemi, pioggia e strade dissestate e coperte di fango a parte.
Airoldi era intenzionato a dirigersi lungo le coste dalmate per passare da Cattaro e poi da Corfù. A Spalato fece amicizia con un veneto, che venuto a conoscenza che Airoldi fosse un corridore, gli propose di sfidare in una corsa il campione di Spalato.
Vinse la sfida ma venne aggredito dagli scommettitori slavi, furiosi per la sconfitta.
Dopo queste vicende Airoldi riprese il viaggio. Tuttavia, prima di giungere a Ragusa, cadde e si ferì una mano, dopo essere stato costretto a trascorrere due notti all'aperto per non aver trovato ospitalità. Gli fu sconsigliato di attraversare l'Albania a piedi per giungere a Corfù perché c'era il rischio di incontrare dei briganti (oltre che per le pessime condizioni delle strade albanesi), per cui si imbarcò su una nave austriaca che lo fece sbarcare a Patrasso da dove raggiunse Atene a piedi, seguendo i binari della ferrovia in quanto non esisteva altra strada. Come se non bastasse, presso Eleusi l'Airoldi sbagliò pure strada e fece 14 km inutilmente; ormai stremato, l'Airoldi decise di pernottare a Eleusi. Il giorno successivo (era il 31 marzo 1896) l'Airoldi percorse gli ultimi 22 km e arrivò finalmente a Atene.
Dopo questo viaggio avventuroso di ventotto giorni, Airoldi, tuttavia, non poté partecipare alla maratona. La vicenda fu paradossale: recatosi a Palazzo Reale per iscriversi ai Giochi, venne ricevuto dal principe Costantino, presidente del Comitato Olimpico. Qui venne alla luce il premio in denaro ricevuto al termine della gara Milano-Barcellona, ed Airoldi - in base a ciò - venne considerato un professionista e quindi privo dei requisiti per essere accettato come atleta olimpico [ricordiamo che nello statuto originario dei Giochi Olimpici, inventati dagli "aristocratici", era escluso il professionismo come travisamento dello sport, mentre veniva richiesto il requisito del dilettantismo puro, principio che del resto - pur come infingimenti - si mantiene tuttora].
A niente servirono i telegrammi giunti dall'Italia da parte di associazioni e comitati sportivi che tentarono di convincere il CIO che in Italia non esistevano corridori di professione. La risposta fu tassativa: Airoldi non avrebbe potuto partecipare! E già allora, non mancarono dubbi e sospetti sul reale motivo che sostanziava la volontà degli organizzatori di escludere un atleta così forte da una gara che i Greci tenevano molto ad aggiudicarsi per motivi di prestigio nazionale.
Nonostante non fosse iscritto alla maratona, Carlo Airoldi cercò di correrla lo stesso come non iscritto [fuori gara] nel tentativo di dimostrare di essere il migliore; tuttavia venne fermato da un giudice di gara prima del traguardo e passò una notte in cella.
Lovati, corrispondente de La Bicicletta, telegrafò da Atene la sera del 10 aprile. Ecco il testo del suo messaggio:
«La corsa Maratona-Atene, che costituiva il classico avvenimento dei giuochi olimpici, ebbe luogo oggi. Vi parteciparono dieci concorrenti fra i quali però nessun italiano, avendo il Comitato mantenuto l'esclusione del nostro Carlo Airoldi. Giunse primo il corridore greco Luis (sic), che coprì i 42 chilometri nel tempo davvero meraviglioso di ore 2,50. L'arrivo del corridore allo Stadio fu accolto dal maggior entusiasmo del popolo greco, che portò in trionfo il vincitore Non si sa ancora se Luis accetterà la sfida lanciatagli dall'Airoldi» (La Bicicletta - anno III - n. 32 (244) - pag. 1 - sabato 11 aprile 1896).
Airoldi non accettò mai la decisione, ritenendola ingiusta ed arbitraria. Scrisse su La Bicicletta:
«Fino questa mattina ebbi sempre speranza di correre, ma pur troppo non mi venne nessun avviso e dovetti assistere alla gara di Maratona, per la quale è un mese che mi affaticavo nelle certezza di prendervi parte. Fino all'arrivo mi mantenni tranquillo e calmo, ma quando arrivò il primo e si sentì il colpo di cannone, allorché la bandiera greca s'innalzò, non mi sentii più padrone di me. [...] Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde fu il più grande dolore della mia vita. L'unica ragione, a quanto parve a molti, è che era desiderio di tutti che il primo fosse un greco e per questo basandosi sul regolamento venni escluso, perché io presi del denaro a Barcellona. Dunque non potevo darmi pace. Il premio d'altra parte era rispettabile: una coppa, una corona e 25.000 lire. Per un giovane che nulla possiede come me, all'infuori del coraggio e che ha quasi la certezza di arrivare primo è un bel dispiacere. Al Comitato feci valere le mie ragioni, dicendo che in Italia lo sport pedestre non è sviluppato abbastanza per poterlo fare di mestiere, e che il denaro che presi a Barcellona fu una regalia del Municipio, come si è fatto per il vincitore della Maratona, ma tutto fu inutile. [...] Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l'Austria, l'Ungheria, la Croazia, l'Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile. Mi consolo pensando agli allori riportati in Francia e Spagna, ma se per quel viaggio partii in giovedì per questo partii in venerdì e in Venere ed in Marte né si sposa né si parte. Ora però tutto è finito e fra poco sarò a Milano». (Carlo Airoldi, La Bicicletta - anno III - n. 35 (247) - pag. 2 - sabato 18 aprile 1896)
Amareggiato per l'esclusione, l'Airoldi lanciò una sfida al vincitore della maratona che non fu mai raccolta.
Gli ultimi anni. Al ritorno in patria Airoldi tentò di battere il record di Spyridon Louis: fissò come data del tentativo il 31 maggio 1896; la strada prescelta sarebbe stata quella da 12 chilometri al di là di Cassano d'Adda, al Rondò di Loreto. Il quotidiano "La bicicletta" decise di assegnare all'Airoldi, in caso di successo, una coppa d'argento.
Tuttavia le strade furono rese impraticabili dal gelo e dalle piogge primaverili e così il tentativo venne inizialmente rimandato alla metà di giugno. Il tentativo di battere il record di Spyridon Louis non ebbe più luogo. Stando alle dichiarazioni dei familiari dell'atleta, Airoldi avrebbe poi fatto un tentativo per battere questo record percorrendo i 40 km in 2 ore e 44 minuti.
Continuò a gareggiare in Lombardia. Il 26 luglio 1896 corse la gara Melide-Lugano di 11 chilometri e a pochi metri dal traguardo mentre era in terza posizione si fermò per cedere il terzo posto al dodicenne corridore Luigi Lonardini.
A quei tempi nacque una vera e propria rivalità tra Airoldi e un altro corridore, Gamba. I due si sfidarono nella notte tra il 5 e 6 giugno 1897 sul tratto Milano – Cernobbio – Punta Villa Pizzo – Milano.
Airoldi, oltre a vincere la gara, era intenzionato a battere il record di Radaelli che aveva percorso quel tragitto in circa 12 ore. Alla fine, a vincere la sfida (e a battere il record di Radaelli) fu Gamba che tagliò per primo il traguardo in 9 ore e 13 minuti mentre, stando alle dichiarazioni di alcuni ciclisti, Airoldi si fermò a 30 km dal traguardo.
Il 31 agosto 1897 partecipò al 1° Campionato pedestre italiano arrivando secondo dietro a Cesare Ferrari; in quell'occasione fu molto sfortunato perché fu costretto a correre gli ultimi chilometri con una scarpa rotta.
Nel 1898 si trasferì in Svizzera per cercare lavoro. Prima della partenza la società Libertas Torino, per la quale era tesserato a partire dal dicembre 1896, gli conferì la Fascia d'onore (che era in seta e con i colori sociali rosso e blu) che venne esposta a Torino per alcune settimane nella vetrina di un negozio in piazza Carlo Felice.
Il 4 settembre 1898 a Zurigo gareggiò contro un cavallo, correndo i 5.000 metri in 19:45.
Nel 1899 partecipò alla Parigi-Marsiglia, prima di trasferirsi a Berna dove lavorò in un'azienda produttrice di biciclette. Il 16 settembre 1900 vinse la Friburgo-Berna.
In seguito, dopo una breve permanenza a Milano, si spostò in Sud America a cercare fortuna.
Qui, stando ad alcune fonti (come ad esempio il libro Storia dell’Atletica Italiana Maschile di Marco Martini), Airoldi si esibì, mentre era a Rio de Janeiro, in una prova di forza che consisteva nel trasportare un sacco del peso di 450 kg per 100 m.
Pare che a Porto Alegre rischiò di essere linciato dal pubblico per aver perso una sfida contro un cavallo. Rientrò in Italia nel 1902 e rimase nel mondo dello sport come organizzatore di gare e poi come dirigente di società sportive, l'ultima delle quali fu il Club ciclistico La Veloce di Legnano.
Airoldi si sposò ed ebbe sei figli; morì di diabete a Milano il 18 giugno 1929.